Signor
Presidente, signori Consiglieri
nello stesso momento in cui con il DDL n. 59 ci
accingiamo a riscrivere in toto l’organizzazione della sanità regionale mi
viene in mente il noto aforisma di Eraclito “panta rei - tutto scorre” che in due parole sintetizza l’ineluttabilità
del cambiamento. A questa reminiscenza liceale si è subito accodata,
prepotente, quella degli anni di Medicina in cui, sul libro di terapia medica,
risaltava in grassetto la raccomandazione di Ippocrate “primum non nuocere”.
Sono
convinto che entrambe queste sfide vadano raccolte con intelligenza e
pragmatismo perché quando si parla di “persone” o meglio della “salute delle
persone” è obbligatorio coniugare il progetto della nuova organizzazione
sanitaria regionale con una visione realistica e pratica finalizzata ad ottenere
risultati concreti.
Una
qualsiasi riforma inizia con una rigorosa ricognizione atta ad evidenziare i
punti di forza e le carenze del sistema che si vuole modificare.
Considerato
il fatto che l’Organizzazione Mondiale della Sanità colloca la sanità italiana
al secondo posto nel mondo, preceduta solo da quella francese, e che il FVG si
piazza fra le prime quattro regioni italiane, questo rende, se possibile, più
arduo il nostro compito.
Fra
i molti segnali che ci spingono al
cambiamento forse i più evidenti sono:
- il costante invecchiamento della popolazione che va di pari passo con l’aumentare delle malattie cronico degenerative;
- il progresso della scienza medica e della tecnologia che la supporta che ha modificato sensibilmente i tempi di degenza e di cura dei pazienti;
- il perdurare di una crisi economica che, riducendo in modo sensibile le entrate della nostra regione, ha modificato, in peggio, il rapporto spesa sanitaria/bilancio;
- il mancato governo di una macchina complessa come quella della sanità registrato negli ultimi anni, che ha reso più evidente la necessità di un riordino. Anche se il sottoscritto era fra quelli che criticavano l'eccessivo ruolo che l'Agenzia Regionale della Sanità aveva assunto negli ultimi periodi, esondando di fatto dai suoi compiti istituzionali, sono convinto che con la sua cancellazione sia venuto meno un punto di riferimento essenziale per tutte le aziende sanitarie della regione.
La
crisi economica dell'Europa, ma in particolare del nostro Paese, mette il
problema “risorse” al centro della discussione; credo, quindi, che confrontarci
con le spese delle maggiori democrazie europee sia educativo ed illuminante.
La
spesa sanitaria dell’Italia si
attesta sul 9.5 % del PIL contro l’11.6 della Francia, l’11.1 della Germania; l’11.2
della Danimarca, il 12.0 dell’Olanda, il 17.9 degli USA e l’11.2 Canada (dati
2011 – Bocconi). Il tasso di crescita
(reale) per l’Italia è stato pari allo 0.3 % nell’ultimo biennio, mentre nel
periodo 2000-2011 è stato pari all’1.7 (tra i più bassi dell'Europa) e
nell’intero periodo 1995 -2011 è stato pari al 2.2% (da Rapporto OASI 2013 a
cura di CERGAS - Bocconi).
In
conclusione, occupare la seconda
posizione per quanto riguarda la sanità spendendo significativamente meno delle
altre nazioni europee è senza dubbio una soddisfazione e un punto di partenza.
Credo
utile analizzare anche quegli argomenti che troppo spesso vengono
strumentalmente enfatizzati per rendere più accettabile questo radicale cambio
di rotta:
Premesso
che la sanità ce la paghiamo tutta perché siamo usciti dal Servizio Sanitario
Nazionale da circa 20 anni, e che questa spesa assorbe circa il 50 % del bilancio
regionale è altrettanto vero che la nostra regione, unica in Italia, nel periodo 2001-2012 ha avuto in questo capitolo
un avanzo di bilancio di ben 211 milioni di euro (da Rapporto OASI 2013 a cura
di CERGAS - Bocconi).
Inoltre,
la complessità degli interventi eseguiti dalle nostre strutture ospedaliere,
che colloca il FVG al quarto posto fra le migliori regioni italiane con un
indice di case mix 1.05 (da Rapporto
OASI 2013 a cura di CERGAS - Bocconi), spiega, in parte, i maggiori costi dei
nostri ospedali, tanto che l'Agenzia Nazionale della Sanità (Age.na.s.) nel 2010 ha affermato che “con risorse forse un po’maggiori di
quelle di alcune altre regioni, il FVG eroga servizi in linea con i propri
bisogni; forse ha qualche costo di produzione maggiore della media cui, però,
corrispondono delle qualità altrettanto elevate”.
· il numero degli anziani è destinato
a crescere e il maggior costo della sanità si ha negli ultimi anni di vita
Pur
concordando con la premessa e con il fatto che la popolazione del FVG sia la
seconda in Italia per numero di anziani l'Age.na.s., nel 2010, certifica che “i consumi sanitari crescono con l’età e la
popolazione del Friuli è più anziana, ma i friulani consumano meno sanità
soprattutto se anziani”.
·
il numero dei posti letto per acuti
in Italia e in FVG è troppo alto
Premesso
che in regione dal 1994 al 2008 i posti letto (pl) per acuti si sono
praticamente dimezzati passando da 8365 a 4591 e che con l’attuale
riorganizzazione si vuole arrivare ad un totale di 3139 pl passando, quindi,
dagli attuali 3.7 pl acuti ogni 1000 abitanti a 3.0, credo indispensabile
raffrontare i nostri dati con le altre nazioni europee. Iniziamo con la Francia, che l’OMS colloca al primo
posto nel mondo per la sanità, che ha 6.4 pl per acuti ogni 1000 abitanti; la Germania ha 8.3 pl per 1000 abitanti; l’Austria
7.7, il Belgio 6.4; la
Danimarca 3.5, la Finlandia 5.5,
l’Irlanda 3.0, il Lussemburgo 5.4, l’Olanda 4.7, la Svizzera 4.9, l’Inghilterra
3.0, la Svezia 2.8 (da Rapporto
OASI 2013 a cura di CERGAS - Bocconi).
E'
del tutto evidente che il numero dei pl per acuti è strettamente correlato alla
dimensione del welfare sul territorio e che un confronto con la Svezia in
questo campo ci vede fortemente arretrati. Altra cosa è, invece, confrontarci
con l'UK ove i pl per acuti sono sì 3.0 x 1000, ma in quella nazione il governo
Cameron sta privatizzando molti servizi della sanità.
Questa
ulteriore riduzione dei posti letto per acuti è una prescrizione presente nel cd.
decreto Balduzzi, ma, a mio avviso, il FVG avrebbe dovuto rivendicare la piena autonomia
decisionale sia perché previsto in quanto regione a statuto speciale, ma
soprattutto perché la gestione della sanità in termini economici e di qualità è
dimostrata e sotto gli occhi di tutti.
·
negli ospedali si fanno troppi
ricoveri impropri
Il
numero di ospedalizzazioni evitabili (asma,
BPCO, diabete) per 100.000 abitanti vede l’Italia nella quarta migliore
posizione preceduta solo dal Portogallo, Francia e Svizzera (da Rapporto OASI
2013 a cura di CERGAS - Bocconi).
Questo
ovviamente non ci esime dal valutare con serietà quelle che sono le nostre carenze e i nostri difetti:
- l’Assistenza Domiciliare Integrata, volta a soddisfare le esigenze degli anziani, dei disabili e dei pazienti affetti da malattie cronico degenerative ci vede relegati agli ultimi posti fra le regioni Italiane;
- mancano posti nelle RSA e non abbiamo praticamente reparti per post acuti;
- mancano posti di Hospice;
- troppo spesso e non per motivi epidemiologici abbiamo duplicato reparti e servizi;
- le nostre Aziende sanitarie hanno modelli organizzativi diversi;
- sul nostro territorio, in cui c’è 1 milione e 200.000 abitanti, insistono due università quando la legge indica come bacino di utenza minimo per una università 1.500.000 di abitanti.
La
sfida vera è dare risposte reali ai
bisogni effettivi della popolazione garantendo nel contempo l’universalità
del sistema e la conseguente organizzazione capillare sul territorio.
Il
rischio di accentuare, soprattutto nella fase di transizione e nelle zone più
periferiche, le disparità di accesso ai servizi è reale, tanto più se si vuole
attuare la riforma a parità di risorse.
La
scelta di creare un'unica azienda ospedaliera/territoriale nasce, infatti,
proprio per favorire l’armonizzazione del percorso diagnostico – terapeutico -
assistenziale e renderlo omogeneo su tutto il territorio regionale.
Uno
dei pilastri su cui si fonda questa riforma è il nuovo ruolo cui vengono chiamati i MMG e i medici della continuità
assistenziale, che li vedrebbe finalmente alleggeriti dagli adempienti
burocratici per riappropriarsi della professione e del ruolo che gli compete. A
loro il compito di gestire a domicilio, nei presidi ospedalieri per la salute e
negli ospedali di comunità, tutte le patologie minori dei loro assistiti al
fine di decongestionare i pronto soccorsi degli ospedali per acuti.
A
questa rivoluzione culturale non sono, però, chiamati solo i MMG, ma lo è anche
il paziente - cittadino che in primis deve essere responsabilizzato verso i
corretti stili di vita e a non vedere/usare la sanità in termini meramente
consumistici.
In
conclusione, pur condividendo lo spirito della riforma, si evidenziano alcune
criticità legate alla sua applicazione pratica, che verranno esplicitate nella
discussione dell’articolato. E’ comunque evidente che l’unico modo per ridurre
i rischi cui abbiamo accennato è applicare la riforma con intelligenza e
gradualità, verificando di volta in volta e in modo rigoroso gli effetti di
salute che produce.