Con
inammissibile ritardo ed esclusivamente per la pressione di un popolo
deluso, stremato, preoccupato perchè non vede nessun futuro per i propri figli LA
POLITICA, con questa legge, mette
in discussione gli ingiustificati privilegi che si era autonomamente
attribuita.
Che
questa operazione non sia frutto di una scelta ragionata, ma rappresenti il
maldestro tentativo di compiacere un elettorato imbufalito, risulta evidente
dal fatto che, accanto a provvedi menti
condivisibili, invece di proporre
soluzioni che equiparino il "lavoratore della politica" ad un
qualsiasi altro lavoratore, propone anche
la cancellazione di una serie di diritti.
Prima
di continuare, a scanso di equivoci, devo dire che il sottoscritto dalla riforma proposta ha tutto da guadagnare e che, pertanto, il discorso che sto per
fare va CONTRO i miei Legittimi Interessi.
Come
molti in quest'aula sanno, sono già in pensione, una pensione
costruita con 35 anni e mezzo di contributi.
Quindi
versare l' 8.8% di quanto percepisco per aumentare di pochi euro
l'attuale pensione, non è mio interesse, tanto è vero che, alla stregua di
molti altri consiglieri, ho optato per non
avere questa trattenuta.
Ciononostante
considero un errore fondamentale (mi verrebbe da dire per la sinistra, ma anche
per una destra illuminata) non riconoscere che la pensione, il TFR o TFS che
dir si voglia, nascono a tutela dei lavoratori e dei soggetti più deboli in
genere.
Dico
questo perchè, se passa questa proposta, i dipendenti pubblici (in aspettativa
per essere stati eletti) e i liberi professionisti (che continuano a lavorare)
maturano, pur facendo politica, la loro pensione. Gli unici penalizzati sono,
dunque, i soggetti più deboli: mi riferisco in particolare i politici più
giovani e ai più vecchi; i primi perché non hanno mai lavorato e gli altri
perché troppo avanti negli anni per potersi costruire una pensione
complementare.
Se
è vero che i politici, spesso, non sono "soggetti deboli" è
altrettanto vero che con questa proposta passa
il messaggio che, a fronte di una cospicua remunerazione, sia possibile
rinunciare a dei diritti andando di fatto a negare quanto realizzato
nell’ultimo secolo nel campo della previdenza
E’
anche questo modo di pensare che ha
prodotto la piaga del lavoro nero e delle tante pensioni da fame dovute a
contributi pensionistici minimi conseguenti alla non coincidenza tra salario
reale e quello ufficiale.
Voglio
anche ricordare come proprio grazie alle pensioni o a TFR dei genitori o dei
nonni molti nuclei familiari, umiliati da una crisi economica scientemente
negata, abbiano potuto sopravvivere durante questa crisi.
Mi limiterò a ricordare per sommi capi quale è
stata la storia delle pensioni e voglio ricordarlo perchè noi stiamo tradendo
quella bellissima storia.
Nel
1889 il cancelliere Otto Furst von Bismarck concepì una protezione del
lavoratore dagli eventi negativi che, con gli infortuni sul lavoro e con
l'avanzare dell'età, mettevano a rischio le sue capacità di lavoro e quindi di guadagno
Di
impostazione leggermente diversa ma eguale nella sostanza l'iter avviato da
lord William Beveridge, che vedeva nello Stato il compito di aiutare il
cittadino bisognoso rispetto al suo benessere economico, fisico e sociale finanziando
la spesa con la fiscalità generale. E’ proprio in questo periodo nasce il
concetto del Welfare state
A
ruota e con modalità diverse, ma tutte con lo stesso intento, seguirono i
principali stati europei.
Nel
1935 Franklin Delano Roosvelt firmò il Social Security Act che prevedeva
un'indennità di disoccupazione e una somma a vita per i lavoratori che avevano
raggiunto l'età pensionabile.
In Italia la "Cassa Nazionale
di previdenza per l'invalidità e la vecchia degli operai" nasce nel 1898 e
l'iscrizione a tale istituto diventa obbligatorio nel 1919 nel momento in cui
ci si è accorti della difficoltà di raccogliere contributi volontari
E'
con l'avvento della massiccia industrializzazione, e quindi degli infortuni sul
lavoro, e della mutata sensibilità della società, che mal sopportava la vista
della miseria (ma che temeva anche rivolte sociali) che questa forma di
protezione sociale si è formata ed evoluta.
Ecco perché questo versamento, che nei
primi anni era facoltativo, successivamente fu reso obbligatorio in tutti gli
stati industriali .
Noi
ci proponiamo di guidare questa regione in un momento particolarmente difficile
ma quale credibilità possiamo avere nel momento in cui , sulla spinta della
piazza, ci apprestiamo a varare dei provvedimenti legislativi non equi
Ricordo
come qualche consigliere abbia detto in commissione che "questo è un provvedi mento sbagliato ma necessario a recuperare credi bilità della
classe politica".
Per
quanto mi è dato sapere nessuno ha mai recuperato credi bilità
assumendo decisioni che riteneva errate in partenza.
Questo
è il motivo per cui ho proposto l'abolizione del comma 1 dell'art 38 e a breve
conto di portare in aula una proposta di legge Nazionale che equipari quelli
che io chiamo i "lavoratori della politica" a un qualsiasi altro
lavoratore.
I
politici a questo punto verserebbero all’INPS in modo obbligatorio la loro
quota parte e alla fine della loro carriera lavorativa, politica o non,
ricongiungerebbero le mensilità versate per costruire una pensione alla stregua
di ogni cittadino italiano
Una
scelta in tal senso sarebbe auspicabile perchè sgraverebbe la regione di oneri
che, a mio avviso, non le competono, per l’afflusso di danaro fresco alla casse
dell’Istituto di Previdenza Nazionale e per il non trascurabile segnale di
parità con tutti i lavoratori
Concludendo
La politica ha un'unica strada per
recuperare la dignità e la credi bilità
perduta: recuperare la moralità, risolvere i problemi della gente ed accettare senza
furbizie e sotterfugi di essere trattata alla stregua di un qualsiasi altro
cittadino di questo Paese.
2 commenti:
Caro Stefano, il problema e' tutta la discussione si e' fatta in commissione e in aula. Nel merito non saprei quale posizione condividere anche il tuo ragionamento sui"lavoratori della politica" mi piace molto. Non condivido invece il fatto che su uns questione così importante il partito non abbia discusso minimamente e debba limitarsi a diffondere e sostenere una posizione assunta "a maggioranza" dal gruppo consigliare. Da quandobin qua la linea del partito la decide il gruppo in regione? Paolo Del Ponte
Bravo Stefano.
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