Questo il testo del mio intervento a Faedis per il 72° anniversario della battaglia della Zona Libera del Friuli Orientale.
La
zona libera del Friuli orientale
Autorità,
cittadini, rappresentanti delle associazioni partigiane, compagni
l’8
settembre del 1943 alle 19.45 il capo del governo, Badoglio, annuncia
al popolo italiano che, a Cassibile in Sicilia, è stato firmato
l’armistizio con gli americani.
Il
re, alcuni esponenti del governo e dello stato maggiore dell’esercito
mentre i tedeschi occupano di fatto la penisola italiana, fuggono
prima a Pescara e poi a Brindisi sotto la protezione alleata,
incuranti di lasciare un esercito e una nazione senza ordini.
Questa
fuga vigliacca, che costò ai nostri militari 60.000 tra morti e
dispersi e 700.000 deportati, segna anche l’inizio di uno sdegno
diffuso, di una voglia di reagire per recuperare una dignità
personale e collettiva umiliata e soffocata dal regime fascista.
In
quel 8 settembre del 43 nasce il Comitato di Liberazione Nazionale e
prende forma, in modo più organico, la Resistenza che in pochi mesi
riesce, nell’estate del '44, a contare circa 18 zone libere sparse
tra Piemonte, Liguria, Emilia e Friuli Venezia Giulia.
In
questa zona operavano i partigiani della brigata Garibaldi e della
Osoppo che nell’agosto del '44, assieme al IV battaglione sloveno
del IX Corpus, diedero vita alla divisione Garibaldi-Natisone che,
forte di 3000 uomini, creò la zona libera del Friuli orientale.
Le
diverse visioni politiche tra le due formazioni partigiane e le
rivendicazioni territoriali della Iugoslavia furono accantonate e
superate per combattere un nemico superiore in uomini e mezzi.
Col
senno di poi è facile intuire che liberare ampie zone del territorio
avrebbe determinato una reazione durissima dei tedeschi che dal 1
ottobre del 43 consideravano le province di Udine, Trieste e Gorizia
facenti parte dell’Adriatisches Kusterland e quindi annesse al III
Reich.
Tra
l’altro, considerato che la zona liberata lambiva Udine e si
estendeva per circa 70 km quadrati, era impensabile che il comando
tedesco accettasse che la principale via di comunicazione con la
Germania, la Pontebbana, potesse essere insicura o peggio interrotta
dalle formazioni partigiane.
L’illusione
di un rapido arrivo degli alleati e la volontà di dimostrare che il
popolo italiano era in grado di esprimere un governo democratico e di
affrancarsi dal fascismo prevalsero sulla logica di una lotta
partigiana che per definizione è una lotta di movimento e di colpi
di mano.
In
uno stato monarchico, assolutista ed imperialista che negava ai suoi
cittadini ogni diritto, in un territorio controllato e dominato in
modo brutale da fascisti, nazisti e cosacchi furono
create delle oasi di libertà e democrazia.
Con
il controllo continuativo di vaste zone i partigiani si fecero carico
di tutti i problemi amministrativi, annonari e di ordine pubblico che
il governo di un territorio impone, problemi che, come è facile
intuire, in tempo di guerra furono enormi.
Varie
le forme di governo adottate in queste zone liberate: in taluni casi
fu istituito un consiglio dei capifamiglia, in altri prevalse
l’aspetto militare, ma nella maggior parte dei casi il CLN chiamò
la popolazione a forme di autogoverno con la formazione di giunte
comunali elette dagli abitanti e con tribunali formati da magistrati
e dagli anziani.
L’appoggio
della popolazione civile alle formazioni partigiane non mancò anche
se la durissima ed indiscriminata repressione delle formazioni
naziste e repubblichine mise a dura prova queste scelte.
Le
rappresaglie sulle popolazioni civili non
furono atti criminali di singoli comandanti,
ma scelte politiche ben precise. E’ bene ricordare come il
ministro degli interni della Repubblica Sociale Italiana Buffarini
Guidi, in una missiva ai prefetti del Piemonte, li esorti a "creare il vuoto attorno ai ribelli senza preoccuparsi in nessun modo
di quanto possa costare nella vita e negli averi ai cosiddetti
civili, valligiani e sfollati"
Spesso
gli eserciti occupanti utilizzano la strategia di terrorizzare i
civili per impedire, o per lo meno ostacolare, che supportino il
”nemico”.
Anche
in epoche recenti e nel cuore dell’Europa sono stati usati metodi
come questi, metodi che però non si sono mai rilevati efficaci ma
hanno solo dimostrato a quali livelli di abbiezione può giungere
l’animo umano.
E’
altrettanto vero però che le efferatezze commesse nel nostro
territorio hanno cementato il sentire di una popolazione contro
nazi-fascisti e questa, anche se duramente provata da anni di guerra,
non ha esitato a ospitare chi aveva perso tutto e a condividere quel
poco che c’era da mangiare.
Questo
territorio ha visto in prima persona quegli eventi gloriosi e
luttuosi che hanno suscitato speranze e sconforto, ha visto il
sacrificio di tanti italiani, giovani e non giovani in armi e non, ha
visto atti di eroismo e di barbarie ingiustificate e
ingiustificabili.
Ma
a 72 anni da quei fatti è sufficiente ricordare i
nomi dei 55 partigiani caduti, dei 50 feriti, dei i 174 fatti
prigionieri e dei 220 civili deportati, il rogo di Faedis, di Attimis
e di Nimis, il massacro di Torlano ove furono barbaramente trucidati
e bruciati, ancora vivi, 34 civili tra cui donne e bambini?
Sono
convinto che Ricordare è doveroso ma non sufficiente perché
la Resistenza
non è
stata solo una guerra patriottica, ma una grande lotta per una
società più libera, più egualitaria, lotta nella quale la parte
sana degli italiani si è identificata per un rinnovamento ideale e
morale dell’intero paese.
Ciampi,
scomparso solo da pochi giorni, ha ridato dignità al concetto di
“patria”, parola abusata durante il fascismo, da molti politici
mediocri e che non ha nulla a che vedere con il nazionalismo. Mi
piace ricordare come questo onesto, e lungimirante presidente
definiva la Patria "una comunione di liberi e di eguali"
che non tollera l’ineguaglianza dei diritti civili e politici, non
sopporta l’esistenza "di caste, di privilegi, di
ineguaglianze"
Quegli
ideali sono stati mirabilmente trasposti nella nostra Costituzione
e quindi,
per rendere onore ai tanti che si sono immolati per essa, dobbiamo
rendere esigibili dai nostri concittadini i diritti che lì sono
scritti.
Nella
Carta Costituzionale vi sono scritte le regole fondanti di una
nazione, regole che servono a difendere i più deboli dai vari poteri
siano essi del governo, delle forze dell’ordine o della
magistratura.
E’
con il rispetto di quelle regole che i sudditi diventano cittadini.
Non
stupisce ma indigna che solo tre anni fa la banca di affari Jp
Morgan, che è la principale responsabile della crisi economica che
ha investito mezzo mondo, abbia sollecitato gli europei a
liberarsi dalle costituzioni nate dalle lotte di liberazione perché
troppo influenzate da idee socialiste e troppo garantiste nei
confronti dei lavoratori.
Questi
consigli vengono dalle stesse lobby finanziarie e multinazionali che
hanno scaricato sugli operai e sul ceto medio una crisi che loro
stesse hanno creato.
Di
qui l’aumento delle diseguaglianze e delle ingiustizie che la
Costituzione voleva ridurre se non cancellare.
Vorrei
ricordare a tutti quei
cittadini stranieri che,
senza averne titolo,
danno
consigli agli italiani sul
come dovrebbero votare al prossimo referendum,
che la carta
fondante di una Nazione appartiene esclusivamente al suo popolo.
Costituzione
e Resistenza sono unite in modo indissolubile e ogni attacco all'una
è un attacco all'altra.
In
questi anni, purtroppo, anche governi amici sembrano aver ascoltato
queste sollecitazioni e sono andati a ridurre diritti che sembravano
acquisiti.
Dobbiamo
però smettere di pensare che la difesa della Costituzione spetti
sempre a QUALCUN ALTRO. E’ compito di ciascuno di noi applicare e
far rispettare il dettato costituzionale e questo dovere è
direttamente proporzionale alla visibilità, al ruolo politico e
sociale che rivestiamo nella società.
La
fuga dalla politica da parte di tanti italiani, senza dubbio motivata
da errori, incompetenza e corruzione della classe dirigente, anche
se comprensibile, mette a rischio la stessa Democrazia che se non
partecipata muore.
La
semplice scrittura delle regole, per quanto belle, non garantisce che
vengano rispettate se ciascuno di noi non le sente come proprie.
Nei
primi articoli della nostra costituzione, scritta anche con il sangue
versato in questo territorio, si parla di diritto
al lavoro,
di sovranità
popolare e
che è
compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di
ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e
l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della
persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori
all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
Eppure
molti di questi diritti, che davamo per acquisiti, vengono sempre più
messi in discussione ed erosi.
La
mancanza di lavoro non solo rende più povere e ricattabili le
famiglie, ma umilia e toglie dignità alle persone. Non passa giorno
che il diritto alla salute non venga messo in contrapposizione con il
diritto al lavoro (mi riferisco alle tante Ferriere di Servola,
all’ILVA di Taranto che solo pochi gg fa ha visto l’ennesimo
morto sul lavoro, alla Thyssen-Krupp, a porto Torres …..).
La
necessità di lavorare si traduce troppo spesso in un salario poco
dignitoso per non dire da fame (il pensiero va alle campagne di Sarno
e dintorni ove facciamo finta di non vedere il caporalato, lo
sfruttamento delle persone talora fino alla morte) cose inaccettabili
in un paese che voglia dirsi civile
I
voucher e i contratti a tempo determinato sono diventati la regola e
adesso si parla anche di depotenziare i contratti nazionali in modo
da rendere sempre più deboli e ricattabili i lavoratori.
E’
compito di chi governa fare una politica industriale di lungo
respiro, che non guardi alle prossime elezioni, ma al futuro dei
nostri giovani che nonostante lauree, master e dottorati, con sempre
maggior frequenza sono costretti cercare lavoro all’estero.
Un
altro diritto costituzionale che vien messo in discussione anche se
in modo più subdolo è il voto.
Il
popolo esercita la propria sovranità tramite il voto e allora il
crescente, importante astensionismo dovrebbe preoccupare tutte le
forze politiche che rischiano sempre di più di rappresentare solo se
stesse.
E
se l’incompetenza e il malaffare sono state le cause principali di
questo fenomeno le leggi elettorali che impediscono, con artifici
vari, ai cittadini di scegliere i propri rappresentanti sono
ulteriore motivo di disaffezione alle urne.
In
un clima come questo trovo che sia da
irresponsabili incitare i cittadini a non andare a
votare tanto più quando è lo stesso popolo a chiedere di potersi
esprimere con un referendum così come previsto dalla Costituzione.
E
lo dico in quest'occasione, in ricordo di quanto accaduto 72 anni fa,
perché in troppi sono morti per permetterci di esercitare quello che
è sì un
diritto ma è anche dovere:
il voto.
Dal
ventennio fascista e dal dramma del secondo conflitto mondiale è
nata in molti popoli la consapevolezza e la necessità di costruire
un'Europa diversa in cui la democrazia misconosce scorciatoie
violente.
Purtroppo
la crisi economica e le ondate migratorie stanno facendo riemergere
miopi egoismi nazionali e minano alla radice l'idea stessa che
Altiero Spinelli aveva di una Europa dei popoli.
Ripetere
gli errori del passato, rincorrere i facili populismi, tradire i
principi della Carta Costituzionale vuol dire negare/annullare
quanto fatto dai Partigiani nella lotta di liberazione, vuol dire
tradire tutte quelle vite spezzate e rendere queste ricorrenze vuoti
e ipocriti eventi commemorativi.
Sta
a tutti noi evitare che questo accada.
Faedis
25.09.2016
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