Signor
Presidente, Signori Consiglieri
la presenza
degli immigrati in Italia, in Europa e in tanti altri Paesi del mondo è un fatto
ineludibile con cui tantissime nazioni si sono e dovranno confrontarsi ancora
per molti anni. Il fenomeno dell’immigrazione, infatti, è sempre esistito:
storicamente si sono viste moltissime persone, se non interi popoli, che di fronte
alle guerre, alle carestie, alle crisi economiche, sono state costrette a
lasciare il proprio Paese per emigrare in altri Stati ove l’aspettativa di vita
e di benessere per loro e le loro famiglie era maggiormente garantito.
L’Italia, in ottemperanza a quanto sottoscritto con i
trattati europei e con la Convenzione
di Ginevra, così come la maggior parte delle nazioni avanzate, si è dotata di
leggi che permettessero di affrontare in modo democratico un fenomeno che per
ogni Paese è sì fonte di risorse, ma anche di importanti tensioni sociali.
Con la legge n. 40 /1998 (nota come legge Turco–Napolitano), che
è alla base del ”Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina
dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero” approvato con D.
Lgs. 286/98, le Regioni hanno assunto il
ruolo di perno delle politiche di integrazione degli immigrati.
Infatti, in base all’art 42, è compito di Stato, Regioni,
Province e Comuni, ciascuno nell’ambito delle proprie competenze e in collaborazione
con le associazioni di immigrati od operanti in loro favore, intraprendere
iniziative per la loro integrazione; a tal fine viene istituito (art 45) il
“Fondo nazionale per le politiche migratorie”
La successiva legge sul tema, la n. 189/2002 più nota come
legge Bossi-Fini, ha di fatto accentuato il ruolo delle Regioni che sono
chiamate a gestire e regolamentare in prima persona il problema migratorio.
Alle leggi però, non sempre ha fatto seguito un effettivo
impegno sul lato della programmazione delle politiche: è questo il caso del FVG
e della Liguria, che per anni non hanno adottato atti di programmazione in
materia di integrazione degli immigrati. In termini generali la legge è
condizione necessaria, ma non sufficiente a garantire la reale applicazione
delle politiche di integrazione perché non basta fissare dei principi se poi questi
non si traducono in azioni concrete.
Nella nostra Regione nella scorsa legislatura, nel cuore
della notte, senza discussione, è stata cancellata la legge regionale 5/2005
che, ottemperando a quanto richiesto dalla normativa statale, dava una risposta
concreta al problema migratorio, quasi che la cancellazione della legge comportasse l’automatica sublimazione dei
migranti.
In questi mesi molti Paesi, europei e non, sono stati investiti
da un imponente flusso di popoli che fuggono dalle guerre e che in base a
trattati internazionali, peraltro sottoscritti anche dall’Italia, invocano il
diritto di asilo ma, incolpevolmente, determinano un rilevante allarme sociale.
Ritengo necessario questo breve accenno all’attualità perché
confondere artatamente questi due temi, richiedenti asilo /migranti, solo per
trarne un vantaggio politico, far leva sulla paura della nostra gente, giocare
sulla difficoltà dei tanti italiani ad arrivare a fine mese raccontando che i
migranti/clandestini sottraggono loro risorse è particolarmente grave soprattutto perché falso.
I 108.000 extracomunitari presenti in FVG contribuiscono con
il loro lavoro ad arricchire la nostra Regione perché a fronte dei 170 milioni
di euro versati di tasse (IRPEF, IVA, ecc.), cui vanno aggiunti i 180 milioni
di contributi previdenziali all’INPS, usufruiscono in minima parte della nostra
sanità e non godono di nessuna forma pensionistica perché mediamente giovani e
sani.
Considerato anche che le rimesse in patria raggiungono i 60
milioni di euro, cifra che supera di gran lunga quanto versato dalla Regione per
la cooperazione internazionale, il vero “aiuto a casa loro“ se lo danno da
soli.
La proposta di legge n. 99, al pari di quanto previsto nelle
altre Regioni, si colloca nel solco di una corretta ripartizione delle
competenze tra Stato e Regioni per cui a queste ultime è consentito di
disciplinare in materia di diritti e doveri degli immigrati negli ambiti
riservati alla loro competenza residua.
Pertanto al legislatore statale compete la regolamentazione
dei flussi migratori in entrata e le condizioni per la permanenza legale degli
stranieri sul territorio nazionale (immigration policy), mentre a quello
locale/regionale compete la gestione dei processi di integrazione dei soggetti
stranieri, sia per quanto riguarda l’inserimento nel mercato del lavoro sia
negli altri ambiti della vita sociale (immigrants policy).
I flussi migratori ci sono, sono destinati a crescere e a
cambiare la vita quotidiana di tutti gli europei, questa è la sfida che
dobbiamo raccogliere, girarci
ipocritamente dall’altra parte aggrava e non risolve il problema.
Serve una politica attiva che sia in grado di sostenere i
processi di integrazione e di far percepire in modo chiaro che Stato e Regione hanno
il controllo della situazione, che il processo è governato e governabile e che
le molte paure evocate non sono basate su dati oggettivi.
Solo in questo modo potremo rassicurare, ma anche dimostrare,
a quel 50-60% degli europei e al 50% degli
statunitensi che vedono nell’immigrazione la causa principale dei loro
problemi, che temono per il loro posto di lavoro e per il proprio salario che,
come accade nei sogni, spesso le paure sono immotivate.
L’ostilità etnica, il razzismo e il risentimento è collegato
in gran parte a quello che gli Europei percepiscono come un pericolo per le
proprie radici culturali tradizionali. Per questo serve una politica di
immigrazione chiara, che combini con oculatezza immigrazione temporanea e
quella permanente, che riesca a bilanciare i contributi sociali degli immigrati
per il Paese ospite e i costi sociali che la loro presenza comporta.
La proposta di legge n. 99 va a regolamentare una situazione
esistente, agendo in maniera organica con linee di indirizzo certe, in poche
parole si dà dignità giuridica ad interventi finora messi a punto nell’ambito
dei Piani annuali di azione per l’immigrazione attuati per il tramite di
appositi fondi regionali o attraverso progetti e fondi europei.
Il passaggio legislativo non è un di più, una sovrastruttura
di cui si poteva anche fare a meno. Sancire per legge e non per prassi diritti
e doveri dei migranti, ma anche delle istituzioni, evidenziare i percorsi
burocratici da seguire, dare un ruolo certo alle associazioni e alla consulta è
un atto fondamentale per ridurre i conflitti e la tensione sociale che una
volta sfuggiti di mano non solo sono pericolosi, ma anche difficili da spegnere.
Riservandomi di entrare nel merito dei singoli articoli,
confido in una rapida approvazione della legge.
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