lunedì 26 settembre 2016

La zona libera del Friuli orientale

Questo il testo del mio intervento a Faedis per il 72° anniversario della battaglia della Zona Libera del Friuli Orientale.

La zona libera del Friuli orientale

Autorità, cittadini, rappresentanti delle associazioni partigiane, compagni
l’8 settembre del 1943 alle 19.45 il capo del governo, Badoglio, annuncia al popolo italiano che, a Cassibile in Sicilia, è stato firmato l’armistizio con gli americani.
Il re, alcuni esponenti del governo e dello stato maggiore dell’esercito mentre i tedeschi occupano di fatto la penisola italiana, fuggono prima a Pescara e poi a Brindisi sotto la protezione alleata, incuranti di lasciare un esercito e una nazione senza ordini.
Questa fuga vigliacca, che costò ai nostri militari 60.000 tra morti e dispersi e 700.000 deportati, segna anche l’inizio di uno sdegno diffuso, di una voglia di reagire per recuperare una dignità personale e collettiva umiliata e soffocata dal regime fascista.
In quel 8 settembre del 43 nasce il Comitato di Liberazione Nazionale e prende forma, in modo più organico, la Resistenza che in pochi mesi riesce, nell’estate del '44, a contare circa 18 zone libere sparse tra Piemonte, Liguria, Emilia e Friuli Venezia Giulia.
In questa zona operavano i partigiani della brigata Garibaldi e della Osoppo che nell’agosto del '44, assieme al IV battaglione sloveno del IX Corpus, diedero vita alla divisione Garibaldi-Natisone che, forte di 3000 uomini, creò la zona libera del Friuli orientale.
Le diverse visioni politiche tra le due formazioni partigiane e le rivendicazioni territoriali della Iugoslavia furono accantonate e superate per combattere un nemico superiore in uomini e mezzi.
Col senno di poi è facile intuire che liberare ampie zone del territorio avrebbe determinato una reazione durissima dei tedeschi che dal 1 ottobre del 43 consideravano le province di Udine, Trieste e Gorizia facenti parte dell’Adriatisches Kusterland e quindi annesse al III Reich.
Tra l’altro, considerato che la zona liberata lambiva Udine e si estendeva per circa 70 km quadrati, era impensabile che il comando tedesco accettasse che la principale via di comunicazione con la Germania, la Pontebbana, potesse essere insicura o peggio interrotta dalle formazioni partigiane.
L’illusione di un rapido arrivo degli alleati e la volontà di dimostrare che il popolo italiano era in grado di esprimere un governo democratico e di affrancarsi dal fascismo prevalsero sulla logica di una lotta partigiana che per definizione è una lotta di movimento e di colpi di mano.
In uno stato monarchico, assolutista ed imperialista che negava ai suoi cittadini ogni diritto, in un territorio controllato e dominato in modo brutale da fascisti, nazisti e cosacchi furono create delle oasi di libertà e democrazia.
Con il controllo continuativo di vaste zone i partigiani si fecero carico di tutti i problemi amministrativi, annonari e di ordine pubblico che il governo di un territorio impone, problemi che, come è facile intuire, in tempo di guerra furono enormi.
Varie le forme di governo adottate in queste zone liberate: in taluni casi fu istituito un consiglio dei capifamiglia, in altri prevalse l’aspetto militare, ma nella maggior parte dei casi il CLN chiamò la popolazione a forme di autogoverno con la formazione di giunte comunali elette dagli abitanti e con tribunali formati da magistrati e dagli anziani.
L’appoggio della popolazione civile alle formazioni partigiane non mancò anche se la durissima ed indiscriminata repressione delle formazioni naziste e repubblichine mise a dura prova queste scelte.
Le rappresaglie sulle popolazioni civili non furono atti criminali di singoli comandanti, ma scelte politiche ben precise. E’ bene ricordare come il ministro degli interni della Repubblica Sociale Italiana Buffarini Guidi, in una missiva ai prefetti del Piemonte, li esorti a  "creare il vuoto attorno ai ribelli senza preoccuparsi in nessun modo di quanto possa costare nella vita e negli averi ai cosiddetti civili, valligiani e sfollati"
Spesso gli eserciti occupanti utilizzano la strategia di terrorizzare i civili per impedire, o per lo meno ostacolare, che supportino il ”nemico”.
Anche in epoche recenti e nel cuore dell’Europa sono stati usati metodi come questi, metodi che però non si sono mai rilevati efficaci ma hanno solo dimostrato a quali livelli di abbiezione può giungere l’animo umano.
E’ altrettanto vero però che le efferatezze commesse nel nostro territorio hanno cementato il sentire di una popolazione contro nazi-fascisti e questa, anche se duramente provata da anni di guerra, non ha esitato a ospitare chi aveva perso tutto e a condividere quel poco che c’era da mangiare.
Questo territorio ha visto in prima persona quegli eventi gloriosi e luttuosi che hanno suscitato speranze e sconforto, ha visto il sacrificio di tanti italiani, giovani e non giovani in armi e non, ha visto atti di eroismo e di barbarie ingiustificate e ingiustificabili.
Ma a 72 anni da quei fatti è sufficiente ricordare i nomi dei 55 partigiani caduti, dei 50 feriti, dei i 174 fatti prigionieri e dei 220 civili deportati, il rogo di Faedis, di Attimis e di Nimis, il massacro di Torlano ove furono barbaramente trucidati e bruciati, ancora vivi, 34 civili tra cui donne e bambini?

Sono convinto che Ricordare è doveroso ma non sufficiente perché la Resistenza non è stata solo una guerra patriottica, ma una grande lotta per una società più libera, più egualitaria, lotta nella quale la parte sana degli italiani si è identificata per un rinnovamento ideale e morale dell’intero paese.
Ciampi, scomparso solo da pochi giorni, ha ridato dignità al concetto di “patria”, parola abusata durante il fascismo, da molti politici mediocri e che non ha nulla a che vedere con il nazionalismo. Mi piace ricordare come questo onesto, e lungimirante presidente definiva la Patria  "una comunione di liberi e di eguali" che non tollera l’ineguaglianza dei diritti civili e politici, non sopporta l’esistenza "di caste, di privilegi, di ineguaglianze"
Quegli ideali sono stati mirabilmente trasposti nella nostra Costituzione e quindi, per rendere onore ai tanti che si sono immolati per essa, dobbiamo rendere esigibili dai nostri concittadini i diritti che lì sono scritti.
Nella Carta Costituzionale vi sono scritte le regole fondanti di una nazione, regole che servono a difendere i più deboli dai vari poteri siano essi del governo, delle forze dell’ordine o della magistratura.
E’ con il rispetto di quelle regole che i sudditi diventano cittadini.
Non stupisce ma indigna che solo tre anni fa la banca di affari Jp Morgan, che è la principale responsabile della crisi economica che ha investito mezzo mondo, abbia sollecitato gli europei a liberarsi dalle costituzioni nate dalle lotte di liberazione perché troppo influenzate da idee socialiste e troppo garantiste nei confronti dei lavoratori.
Questi consigli vengono dalle stesse lobby finanziarie e multinazionali che hanno scaricato sugli operai e sul ceto medio una crisi che loro stesse hanno creato.
Di qui l’aumento delle diseguaglianze e delle ingiustizie che la Costituzione voleva ridurre se non cancellare.
Vorrei ricordare a tutti quei cittadini stranieri che, senza averne titolo, danno consigli agli italiani sul come dovrebbero votare al prossimo referendum, che la carta fondante di una Nazione appartiene esclusivamente al suo popolo.
Costituzione e Resistenza sono unite in modo indissolubile e ogni attacco all'una è un attacco all'altra.
In questi anni, purtroppo, anche governi amici sembrano aver ascoltato queste sollecitazioni e sono andati a ridurre diritti che sembravano acquisiti.
Dobbiamo però smettere di pensare che la difesa della Costituzione spetti sempre a QUALCUN ALTRO. E’ compito di ciascuno di noi applicare e far rispettare il dettato costituzionale e questo dovere è direttamente proporzionale alla visibilità, al ruolo politico e sociale che rivestiamo nella società.
La fuga dalla politica da parte di tanti italiani, senza dubbio motivata da errori, incompetenza e corruzione della classe dirigente, anche se comprensibile, mette a rischio la stessa Democrazia che se non partecipata muore.
La semplice scrittura delle regole, per quanto belle, non garantisce che vengano rispettate se ciascuno di noi non le sente come proprie.
Nei primi articoli della nostra costituzione, scritta anche con il sangue versato in questo territorio, si parla di diritto al lavoro, di sovranità popolare e che è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
Eppure molti di questi diritti, che davamo per acquisiti, vengono sempre più messi in discussione ed erosi.
La mancanza di lavoro non solo rende più povere e ricattabili le famiglie, ma umilia e toglie dignità alle persone. Non passa giorno che il diritto alla salute non venga messo in contrapposizione con il diritto al lavoro (mi riferisco alle tante Ferriere di Servola, all’ILVA di Taranto che solo pochi gg fa ha visto l’ennesimo morto sul lavoro, alla Thyssen-Krupp, a porto Torres …..).
La necessità di lavorare si traduce troppo spesso in un salario poco dignitoso per non dire da fame (il pensiero va alle campagne di Sarno e dintorni ove facciamo finta di non vedere il caporalato, lo sfruttamento delle persone talora fino alla morte) cose inaccettabili in un paese che voglia dirsi civile
I voucher e i contratti a tempo determinato sono diventati la regola e adesso si parla anche di depotenziare i contratti nazionali in modo da rendere sempre più deboli e ricattabili i lavoratori.
E’ compito di chi governa fare una politica industriale di lungo respiro, che non guardi alle prossime elezioni, ma al futuro dei nostri giovani che nonostante lauree, master e dottorati, con sempre maggior frequenza sono costretti cercare lavoro all’estero.

Un altro diritto costituzionale che vien messo in discussione anche se in modo più subdolo è il voto.
Il popolo esercita la propria sovranità tramite il voto e allora il crescente, importante astensionismo dovrebbe preoccupare tutte le forze politiche che rischiano sempre di più di rappresentare solo se stesse.
E se l’incompetenza e il malaffare sono state le cause principali di questo fenomeno le leggi elettorali che impediscono, con artifici vari, ai cittadini di scegliere i propri rappresentanti sono ulteriore motivo di disaffezione alle urne.
In un clima come questo trovo che sia da irresponsabili incitare i cittadini a non andare a votare tanto più quando è lo stesso popolo a chiedere di potersi esprimere con un referendum così come previsto dalla Costituzione.
E lo dico in quest'occasione, in ricordo di quanto accaduto 72 anni fa, perché in troppi sono morti per permetterci di esercitare quello che è sì un diritto ma è anche dovere: il voto.

Dal ventennio fascista e dal dramma del secondo conflitto mondiale è nata in molti popoli la consapevolezza e la necessità di costruire un'Europa diversa in cui la democrazia misconosce scorciatoie violente.
Purtroppo la crisi economica e le ondate migratorie stanno facendo riemergere miopi egoismi nazionali e minano alla radice l'idea stessa che Altiero Spinelli aveva di una Europa dei popoli.
Ripetere gli errori del passato, rincorrere i facili populismi, tradire i principi della Carta Costituzionale vuol dire negare/annullare quanto fatto dai Partigiani nella lotta di liberazione, vuol dire tradire tutte quelle vite spezzate e rendere queste ricorrenze vuoti e ipocriti eventi commemorativi.
Sta a tutti noi evitare che questo accada.




Faedis 25.09.2016