martedì 15 dicembre 2015

Cannabis ad uso terapeutico.

Oggi ho presentato anche quest'interrogazione

Premesso che nel 2007 l’allora Ministro della Salute Livia Turco, riconoscendo l’efficacia terapeutica del Tetraidrocannabinolo (Thc), principale principio attivo della Cannabis, e di due analoghi prodotti di sintesi ha reso legale la prescrizione di questi farmaci per uso terapeutico;
ricordato che nel 2013 il Ministro della Salute Renato Balduzzi ha riconosciuto la liceità dell’uso farmacologico dell’intera pianta della cannabis, estendendo quindi l’uso dei derivati sintetici a quelli a base naturale; 
ricordato anche che il Ministro della Salute Beatrice Lorenzin ha firmato con il Ministro della Difesa Roberta Pinotti un progetto pilota per la produzione nazionale di sostanze e preparazioni di origine vegetale a base di cannabis e questo sia per evitare il ricorso a prodotti non autorizzati, contraffatti o illegali, ma anche per garantire l’accesso a tali terapia a costi contenuti;
considerato che in FVG la legge regionale 7 febbraio 2013, n. 2 stabilisce quali sono le modalità di erogazione dei medicinali e delle preparazioni magistrali a base di cannabinoidi per finalità terapeutiche, ma che tuttora non è stato stilato un regolamento di attuazione;
posto che dal 2014 i medici di famiglia hanno la facoltà di prescrivere cannabinoidi per uso terapeutico;
considerati i costi elevati e la disponibilità non certa del prodotto che, dovendo essere importato dall’estero, deve sottostare a vincoli autorizzativi/burocratici macchinosi;
richiamato l’impegno personale dell’Assessore Telesca a costituire un gruppo di lavoro con medici e associazioni per definire la proposte da fare a Roma per uscire dalla stasi, e l’affermazione per cui "la Regione potrebbe (…)avviare coltivazioni sul territorio" perché in Fvg ci sono imprese pronte ad attivarsi;
ricordato che la Presidente della nostra Regione l’ha definita una "questione di civiltà" e ha affermato che chiederà "a Roma anche l’autorizzazione a coltivarla"
visto che solo un intervento politico può incidere su disponibilità del prodotto, costi e informazione dei medici
considerato altresì quanto contenuto nel cd. “decreto cannabis” del 9 novembre 2015, pubblicato in G.U. il 30 novembre scorso, il quale concede al Ministero della Salute la facoltà di individuare le aree da destinare alla coltivazione di piante di cannabis per la produzione delle relative sostanze e preparazioni di origine vegetale e la superficie dei terreni su cui la coltivazione è consentita

chiede

all’Assessore competente di stabilire una tempistica certa per la stesura di un regolamento di attuazione della L.R. 2/2013


e di sollecitare il Ministro della Salute, visto il fabbisogno, per avere la possibilità di coltivare la cannabis per uso terapeutico in Regione, per non dipendere più dalle importazioni.


La risposta ricevuta è la seguente. Lascio a voi ogni commento, io posso solo dire che a domande precise si risponde molto meno precisamente.






Osservatorio regionale per la formazione medicospecialistica

Di seguito il testo dell'interrogazione che ho presentato. 

Premesso che il D. Lgs. 368/1999 all’articolo 44 prevede l’istituzione dell’Osservatorio regionale per la formazione medicospecialistica il quale definisce la rotazione tra le strutture inserite nella rete formativa per lo svolgimento delle attività e verifica lo standard di attività assistenziali dei medici in formazione specialistica;

visto che il comma 2 di detto articolo reca che "le Regioni provvedono all’istituzione degli osservatori entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto";

ritenuto questo strumento imprescindibile per una corretta organizzazione della formazione degli specializzandi;

considerato, altresì, che già a febbraio 2010 il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca – Consiglio Nazionale degli Studenti Universitari ha sollecitato l’attivazione degli Osservatori Regionali di cui trattasi

interroga

l’Assessore competente per conoscere il motivo per cui non è stato ancora attivato detto Osservatorio, la tempistica con cui si intende ottemperare a questo atto dovuto e che si preveda, contestualmente all’attivazione, la verifica periodica del grado di applicazione di protocolli e accordi attuativi regionali in materia di formazione medico-specialistica

Presentata il 15/12/2015

giovedì 10 dicembre 2015

Poste puntuali.

Ogni anno, con l’avvicinarsi della Finanziaria, tutti i Consiglieri regionali riscoprono amici di cui si erano perse tutte le tracce, ricompaiono anche quelli che solo pochi mesi prima in maniera più o meno garbata ti avevano fatto capire che il tuo operato o la tua persona “puzzava”: troppi soldi, troppi privilegi, troppo potere, interessi non chiari. Poi, improvvisamente, questo effluvio che emanavamo non dà più fastidio in quanto il nostro ruolo può risultare utile alla causa e, si sa, che per la causa si può fare tutto e anche perché, come pare abbia detto Vespasiano, “pecunia non olet”.

Il motivo è sempre lo stesso: ottenere un finanziamento dalla Regione per la propria associazione, ente o fondazione il cui operato è a favore della comunità, della cultura, dei bisognosi ecc, ecc … e, quindi, merita di essere sostenuto. Questi soldi pubblici assegnati con nome e cognome in gergo vengono chiamate “poste puntuali“.

Paradossalmente i postulanti, soprattutto se amici, sono gli stessi che hanno criticato con maggior vigore le poste puntuali ..... quando assegnate ad altri

E’ bene chiarire che molte “poste puntuali“ risolvono problemi reali, che non trovano risposte nelle leggi vigenti, ma è altrettanto vero che molto più spesso sono servite ad alcuni Consiglieri per finanziare gli amici o gli amici degli amici in modo da ampliare il proprio bacino elettorale.
Anche prendendo in considerazione solo la prima delle due tipologie di “poste puntuali”, quella per così dire “pulita”, e preso atto dell’impossibilità di finanziarle tutte, bisogna trovare un criterio ragionevole ed omogeneo per stabilire le priorità perché tutti i questuanti, ovviamente, sono convinti che la loro causa è la più urgente, la più necessaria e salvifica per la popolazione.

Questo è il motivo per cui in otto anni del mio mandato, scontentando un po’ tutti, non ho mai presentato un emendamento con una posta puntuale e preferirei che i soldi della comunità venissero assegnati in base ad una graduatoria costruita con un regolamento che assegni ad ogni progetto un punteggio cercando così di premiare i più meritevoli.

Anche questa metodologia di finanziamento delle tante iniziative che nascono sul territorio non è esente da critiche e da errori, ma allo stato attuale, considerata la scarsa fiducia che gran parte dei cittadini ha nei confronti di politici, è la più trasparente e quella che si presta di meno a condizionamenti esterni.

mercoledì 9 dicembre 2015

mercoledì 18 novembre 2015

Negata l'audizione di Pilati.

Il 13.09.2015 la III Commissione consiliare ha audito il sindaco di Palmanova, quello di Latisana e i rappresentanti dei firmatari della petizione n°20 “Per la tutela del Punto Nascita e del reparto di Pediatria dell’Ospedale di Latisana” in merito al problema della prevista chiusura di uno dei due punti nascita.

Nell’occasione il sindaco Martines, tra le varie cose, ha informato i commissari dell’esistenza un documento firmato da alcuni primari, tra cui il responsabile dell’Ostetricia e Ginecologia, che attestava la non sicurezza del punto nascita di Latisana.

Considerato che ero a conoscenza di un documento di tenore completamente opposto e che anche gli altri due interventi, del sindaco Benigno e di Renata Zago, avevano sollecitato numerose domande, ho formalizzato la richiesta di audire il dott. Pilati, Direttore Generale dell’AAS2.

Ieri l’ufficio di presidenza della III Commissione, a maggioranza e con motivazioni risibili, ha negato la convocazione del Direttore Generale, l’unico titolato a rispondere ai vari quesiti tecnici che le audizioni avevano fatto emergere.

Ho già chiesto un incontro al Direttore Pilati per porgli quelle domande che avrei fatto nella commissione di merito e che qui elenco brevemente:
- stante che esistono due documenti che affermano cose del tutto contrastanti a Suo giudizio il punto nascita di Latisana è o non è sicuro?
- corrisponde al vero che le sale dell’Ostetrica –Ginecologia di Palmanova non sono a norma?
- quale il trend delle nascite nei due poli al 30 ottobre 2015 (dopo la chiusura del punto nascita di Gorizia e quello più recente di Portogruaro)?
-  corrisponde al vero che nella sede di Latisana vi sono grossi problemi a coprire i turni in pediatria?
- quali i numeri di ricoveri e prestazioni ambulatoriali nelle due pediatrie?
-  i responsabili dei vari dipartimenti hanno garantito che la chiusura del punto nascita di Latisana non comprometterebbe la sicurezza della partoriente e del nascituro nelle urgenze ostetriche (placenta previa in primis)?   

Sono convinto che tutti i componenti della III commissione erano interessati alle riposte del Direttore Generale dell’AAS2 in modo che le conseguenti scelte politiche potessero essere le più ponderate ed informate possibili.


Ma questo diniego, peraltro unico nella storia delle commissioni, pone un’altra domanda: perché tanta paura per quanto poteva dire il dott. Pilati? non è che la politica voleva avere le mani libere a prescindere dalle risposte tecniche ? 

giovedì 29 ottobre 2015

ESAMI DI LABORATORIO GRATUITI

Di seguito il testo della mia interrogazione e la risposta dell'Assessore Telesca.

Premesso che in modo del tutto casuale sono venuto a conoscenza che un alto dirigente della nostra Regione avrebbe eseguito esami in una struttura ospedaliera senza corrispondere il ticket dovuto;

essendo del tutto evidente che questa voce debba trovare conferma in modo inequivoco con un'indagine interna del Santa Maria della Misericordia non tanto per l'entità dell'eventuale danno erariale, quanto per il messaggio negativo nei confronti di tutti quei cittadini che rinunciano ad approfondimenti diagnostici proprio per gli alti costi delle analisi;

posto che sarebbe particolarmente grave che proprio coloro che possono permettersi questi esborsi, in virtù della loro posizione e conoscenze, trovino il modo di evitarli

chiedo all'Assessore Telesca se rientra nella discrezionalità di un direttore di SOC autorizzare approfondimenti diagnostici senza che vi venga corrisposto il ticket che la Regione ha fissato per quelle indagini.

Risposta:

Ritengo che la risposta al quesito posto dal Consigliere Stefano Pustetto, per i suoi contenuti, non sia di competenza dell'Assessore alla salute.

Si tratta, chiaramente, della segnalazione di un comportamento illecito senza peraltro specificare gli elementi che consentano di contestualizzarlo e di individuare le persone coinvolte.

Se la domanda sottesa fosse se è opportuna la separazione tra i compiti di indirizzo della politica, l'attività gestionale propria dei tecnici e l'attività di controllo delle forze di Polizia e della Magistratura allora la mia risposta non potrebbe che essere l'affermazione della netta separazione dei compiti, nell'esercizio dei poteri propri delle diverse funzioni.

Se qualcuno è a conoscenza di fatti illeciti non può che rivolgersi alle Autorità competenti.


Come da indicazione dell'Assessore sto valutando l'ipotesi di fare un esposto alla Procura della Repubblica.

mercoledì 28 ottobre 2015

Norme per l’integrazione sociale delle persone straniere immigrate - Proposta di legge regionale

Di seguito la mia relazione alla proposta di legge regionale in materia di immigrazione.

Signor Presidente, Signori Consiglieri
            la presenza degli immigrati in Italia, in Europa e in tanti altri Paesi del mondo è un fatto ineludibile con cui tantissime nazioni si sono e dovranno confrontarsi ancora per molti anni. Il fenomeno dell’immigrazione, infatti, è sempre esistito: storicamente si sono viste moltissime persone, se non interi popoli, che di fronte alle guerre, alle carestie, alle crisi economiche, sono state costrette a lasciare il proprio Paese per emigrare in altri Stati ove l’aspettativa di vita e di benessere per loro e le loro famiglie era maggiormente garantito.

L’Italia, in ottemperanza a quanto sottoscritto con i trattati europei e con la Convenzione di Ginevra, così come la maggior parte delle nazioni avanzate, si è dotata di leggi che permettessero di affrontare in modo democratico un fenomeno che per ogni Paese è sì fonte di risorse, ma anche di importanti tensioni sociali.
Con la legge n. 40 /1998 (nota come legge Turco–Napolitano), che è alla base del ”Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero” approvato con D. Lgs. 286/98, le Regioni hanno assunto il ruolo di perno delle politiche di integrazione degli immigrati. 
Infatti, in base all’art 42, è compito di Stato, Regioni, Province e Comuni, ciascuno nell’ambito delle proprie competenze e in collaborazione con le associazioni di immigrati od operanti in loro favore, intraprendere iniziative per la loro integrazione; a tal fine viene istituito (art 45) il “Fondo nazionale per le politiche migratorie”
La successiva legge sul tema, la n. 189/2002 più nota come legge Bossi-Fini, ha di fatto accentuato il ruolo delle Regioni che sono chiamate a gestire e regolamentare in prima persona il problema migratorio.
Alle leggi però, non sempre ha fatto seguito un effettivo impegno sul lato della programmazione delle politiche: è questo il caso del FVG e della Liguria, che per anni non hanno adottato atti di programmazione in materia di integrazione degli immigrati. In termini generali la legge è condizione necessaria, ma non sufficiente a garantire la reale applicazione delle politiche di integrazione perché non basta fissare dei principi se poi questi non si traducono in azioni concrete.
  
Nella nostra Regione nella scorsa legislatura, nel cuore della notte, senza discussione, è stata cancellata la legge regionale 5/2005 che, ottemperando a quanto richiesto dalla normativa statale, dava una risposta concreta al problema migratorio, quasi che la cancellazione della legge comportasse l’automatica sublimazione dei migranti.
In questi mesi molti Paesi, europei e non, sono stati investiti da un imponente flusso di popoli che fuggono dalle guerre e che in base a trattati internazionali, peraltro sottoscritti anche dall’Italia, invocano il diritto di asilo ma, incolpevolmente, determinano un rilevante allarme sociale.
Ritengo necessario questo breve accenno all’attualità perché confondere artatamente questi due temi, richiedenti asilo /migranti, solo per trarne un vantaggio politico, far leva sulla paura della nostra gente, giocare sulla difficoltà dei tanti italiani ad arrivare a fine mese raccontando che i migranti/clandestini sottraggono loro risorse è particolarmente grave soprattutto perché falso.
I 108.000 extracomunitari presenti in FVG contribuiscono con il loro lavoro ad arricchire la nostra Regione perché a fronte dei 170 milioni di euro versati di tasse (IRPEF, IVA, ecc.), cui vanno aggiunti i 180 milioni di contributi previdenziali all’INPS, usufruiscono in minima parte della nostra sanità e non godono di nessuna forma pensionistica perché mediamente giovani e sani.
Considerato anche che le rimesse in patria raggiungono i 60 milioni di euro, cifra che supera di gran lunga quanto versato dalla Regione per la cooperazione internazionale, il vero “aiuto a casa loro“ se lo danno da soli.

La proposta di legge n. 99, al pari di quanto previsto nelle altre Regioni, si colloca nel solco di una corretta ripartizione delle competenze tra Stato e Regioni per cui a queste ultime è consentito di disciplinare in materia di diritti e doveri degli immigrati negli ambiti riservati alla loro competenza residua.
Pertanto al legislatore statale compete la regolamentazione dei flussi migratori in entrata e le condizioni per la permanenza legale degli stranieri sul territorio nazionale (immigration policy), mentre a quello locale/regionale compete la gestione dei processi di integrazione dei soggetti stranieri, sia per quanto riguarda l’inserimento nel mercato del lavoro sia negli altri ambiti della vita sociale (immigrants policy).
I flussi migratori ci sono, sono destinati a crescere e a cambiare la vita quotidiana di tutti gli europei, questa è la sfida che dobbiamo raccogliere, girarci ipocritamente dall’altra parte aggrava e non risolve il problema.
Serve una politica attiva che sia in grado di sostenere i processi di integrazione e di far percepire in modo chiaro che Stato e Regione hanno il controllo della situazione, che il processo è governato e governabile e che le molte paure evocate non sono basate su dati oggettivi.
Solo in questo modo potremo rassicurare, ma anche dimostrare, a quel 50-60% degli europei e al 50% degli statunitensi che vedono nell’immigrazione la causa principale dei loro problemi, che temono per il loro posto di lavoro e per il proprio salario che, come accade nei sogni, spesso le paure sono immotivate.
L’ostilità etnica, il razzismo e il risentimento è collegato in gran parte a quello che gli Europei percepiscono come un pericolo per le proprie radici culturali tradizionali. Per questo serve una politica di immigrazione chiara, che combini con oculatezza immigrazione temporanea e quella permanente, che riesca a bilanciare i contributi sociali degli immigrati per il Paese ospite e i costi sociali che la loro presenza comporta.
La proposta di legge n. 99 va a regolamentare una situazione esistente, agendo in maniera organica con linee di indirizzo certe, in poche parole si dà dignità giuridica ad interventi finora messi a punto nell’ambito dei Piani annuali di azione per l’immigrazione attuati per il tramite di appositi fondi regionali o attraverso progetti e fondi europei.
Il passaggio legislativo non è un di più, una sovrastruttura di cui si poteva anche fare a meno. Sancire per legge e non per prassi diritti e doveri dei migranti, ma anche delle istituzioni, evidenziare i percorsi burocratici da seguire, dare un ruolo certo alle associazioni e alla consulta è un atto fondamentale per ridurre i conflitti e la tensione sociale che una volta sfuggiti di mano non solo sono pericolosi, ma anche difficili da spegnere.


Riservandomi di entrare nel merito dei singoli articoli, confido in una rapida approvazione della legge. 

martedì 13 ottobre 2015

Piano dell'emergenza-urgenza, riorganizzazione del 118.

Ieri la III Commissione consiliare è stata chiamata ad esprimere il proprio parere sul Piano regionale dell’emergenza-urgenza, così come assunto dalla delibera della Giunta regionale n.1674.
Premetto che considero un errore il non aver voluto una riunione di maggioranza atta a risolvere, prima del dibattito in commissione, alcune delle criticità che erano chiaramente emerse dalla lettura del piano, chiarimenti tanto più necessari stante la complessità del tema trattato.
Altro errore è stato non aver voluto audire i sindacati che sono i legittimi ed unici rappresentanti di quei soggetti che poi dovranno mettere in pratica quanto deciso dall’Esecutivo. Ascoltare, che non vuol dire necessariamente condividere, è un atto di democrazia e di partecipazione che sembra essere sempre più di peso al renzismo galoppante.

Entrando nello specifico:
-          la costituzione di un unico 118 regionale può finalmente dare una risposta all’emergenza sanitaria omogenea in tutti i territori, andando sanare quelle disparità di mezzi e di risorse umane che fino ad ora hanno caratterizzato le varie centrali operative, in un giusto equilibrio tra costi ed efficacia del servizio;
-          nella stesura del piano non sempre si sono seguiti questi principi e per questo ho evidenziato, con spirito assolutamente costruttivo, lacune e criticità nella speranza che i miei rilievi possano essere motivo di un miglioramento del testo;
-          l’ipotesi di estendere l’elisoccorso anche nelle ore notturne è molto discutibile e merita una valutazione più approfondita, esplorando anche la possibilità di intervento degli elicotteri militari abilitati da sempre a volare con qualsiasi tempo e nelle ore notturne; il tutto ovviamente prima di impegnare cospicue risorse per omologare le piazzole al volo notturno.

Due considerazioni su temi puntuali: Grado e Cividale.
Condivisibile la decisione dell’assessore di ripristinare i mezzi di soccorso a Grado e Monfalcone (anche se non è chiaro ove verrà posizionata l’automedica), più sfaccettata la situazione di Cividale.
L’attivazione di una ulteriore Ambulanza di tipo “A” nelle 24 ore a S. Pietro al Natisone, rappresenta senza dubbio un potenziamento del servizio dell’area cividalese, ma non può essere spacciata come la messa in sicurezza di quel territorio e questo perché, in ogni caso, non garantisce che molte località delle Valli vengano raggiunte nei tempi previsti dalla normativa europea e dal decreto Balduzzi (18 e 20 minuti rispettivamente).

Il mio voto finale di “astensione” necessita una breve premessa. Il 29 dicembre 2014 la III commissione si è riunita per esprimere un parere sulla delibera di giunta che stabiliva il numero di posti letto nelle strutture ospedaliere della Regione. Due giorni dopo (31 dicembre) la Giunta ha modificato in modo sostanziale la delibera appena approvata con la scusa che l’Assessore, in commissione, aveva annunciato alcune correzioni marginali. Scottato dalla precedente esperienza e considerato che anche ieri l’Assessore ha verbalmente preannunciato alcune modifiche alla DGR in discussione ho chiesto di poter votare su di un testo scritto e definitivo perché in caso contrario mi sarei astenuto….. e così è stato.


martedì 6 ottobre 2015

L’aula bacchetta i “silenzi” della giunta.

Ecco il testo dell'articolo pubblicato oggi sul quotidiano "Il Piccolo".

L’esecutivo ha fornito risposte solo sull’11% degli atti di indirizzo adottati in Consiglio. Moretti: «Bisogna comunicare di più»

L’aula bacchetta i “silenzi” della giunta

TRIESTE Diminuisce la disponibilità della giunta a sottoporre alla verifica del Consiglio regionale il percorso d’attuazione di mozioni e ordini del giorno, divenuti operativi dopo il voto dell’aula, col conseguente obbligo per l’esecutivo di farsi carico di quanto chiesto dai proponenti. Da maggio 2013 a settembre 2015, risultano pervenute dalla giunta 29 note, finalizzate appunto a evadere l’onere informativo su altrettanti provvedimenti votati in aula. Si tratta dell’11,2% dei 259 atti di indirizzo adottati dal Consiglio regionale dall’insediamento della giunta Serracchiani: 46 mozioni, 7 ordini del giorno generici, 201 odg su progetti di legge, un odg su comunicazioni della giunta, due su voti alle Camere e due su documenti di indirizzo. La percentuale dell’11,2%, relativa nello specifico a 12 mozioni e 17 odg, corrisponde a meno della metà rispetto alla media dei cinque anni della scorsa legislatura, quando la giunta Tondo fornì informazioni sugli esiti del 23% degli atti di indirizzo. I dati sono stati forniti ieri, durante la seduta del Comitato per la legislazione, il controllo e la valutazione, che ha verificato la conformità delle risposte fornite dalla giunta, dichiarando comunque soddisfazione sulle informazioni ricevute e sulle tempistiche, grazie ad attese che durano mediamente sei mesi fra l’inoltro degli atti e la presentazione delle spiegazioni da parte della giunta. I temi sono i più vari: dall’incremento dei fondi per la cooperazione sociale alla situazione del Consorzio dell’Aussa Corno, dalla chiusura dello stabilimento Ideal Standard di Orcenico ai pericoli derivanti da coltivazioni ogm, dagli interventi sui disturbi di apprendimento al gioco d’azzardo, dall’alleggerimento degli zaini degli studenti al rilancio degli investimenti per le pmi. Rimane però il nodo della scarsità di riscontri sul totale. Stefano Pustetto (Sel) è insoddisfatto: «Spiace vedere che il governo del centrodestra è stato più attento riguardo alle competenze dei consiglieri rispetto al centrosinistra. La giunta Serracchiani ha seguito una procedura informativa molto inferiore a quella Tondo. Sembra che per migliorare l’efficienza, l’esecutivo ritenga che la soluzione sia penalizzare le funzioni di controllo: è un atteggiamento simile a quello adottato a livello centrale dal governo Renzi, che vive con fastidio tutte le forme di verifica sul suo operato». Parole condivise nel corso della riunione dal presidente del Comitato, Riccardo Riccardi (Fi), che tuttavia non rilascia dichiarazioni a margine. Diego Moretti (Pd) ammette che «l’11,2% è un valore basso e certamente si può fare di meglio, anche se ciò non significa disattenzione da parte della giunta. Ad ogni modo, sarà bene confrontare i dati alla fine della legislatura, quando sarà possibile il vero confronto con i cinque anni della giunta Tondo. Quanto a Pustetto, registro che si interessi soprattutto a fare polemiche gratuite contro Renzi».


mercoledì 23 settembre 2015

Audizione Primari in III Commissione consiliare

Circa una settimana fa, in terza Commissione consiliare (che si occupa di sanità), abbiamo ricevuto una delegazione del Collegio dei Primari di Udine che, insoddisfatti di un precedente colloquio con la Presidente della Regione e con l’Assessore alla salute, venivano a rappresentarci la sfiducia sul come si sta realizzando la riforma della sanità.

Il tono è sempre stato molto pacato, ma questa volta le parole dette e scritte sono state pesanti come macigni e indicano un profondo malessere che la classe politica ha più e più volte colpevolmente ignorato.

La frequentazione che i primari hanno con il Direttore Generale, con il Direttore Sanitario e con il “potere” in genere hanno reso il loro linguaggio morbido, conciliante e propositivo, cosa questa del tutto scomparsa nel documento che hanno consegnato a noi commissari.

A differenza della Telesca il sottoscritto ha più e più volte professato dubbi sul fatto che il protocollo d’intesa tra Università e mondo ospedaliero sarebbe stato firmato in tempi rapidi, ipotizzando delle grossissime resistenze da parte universitaria a cedere un po’ di potere. Mi sbagliavo perché, stante a quanto scrivono i vertici dei medici ospedalieri, al mondo universitario erano state fatte tali e tante promesse che la loro firma era garantita. Peccato che il prezzo lo avrebbero pagato quei medici che pur garantendo l’ottanta percento dell’assistenza in ambito ospedaliero non avrebbe più potuto ambire a ricoprire ruoli apicali.

Fantasie? Sindrome del brutto anatroccolo? Non credo proprio perché per nominare il nuovo direttore della maxillo - facciale universitaria sono bastati due giorni, pur in presenza di un analogo reparto ospedaliero che svolge l’80 % del lavoro, mentre il primario ospedaliero della II medica (circa 3000 ricoveri/anno) non è ancora stato ricoperto, pur essendo vacante da più di quattro anni.


Qui mi fermo, anche se gli esempi potrebbero essere tantissimi, perché nello scrivere mi accorgo che il “fastidio” per quanto sentito non mi è ancora passato.


In allegato i documenti presentati in audizione in modo che ciascuno si possa autonomamente fare un'opinione   

PROPOSTE DEL COLLEGIO DEI PRIMARI UDINE

PRIMARI: il perchè dell'incontro.

Lettera dell'ANPO

venerdì 7 agosto 2015

Corte dei Conti: archiviazione!

Ho ricevuto la comunicazione da parte della Corte dei Conti la quale, a seguito di legittimi accertamenti sulle spese dei Gruppi consiliari, ha archiviato la mia posizione. 

lunedì 27 luglio 2015

Disimpegni di decine di milioni di euro delle risorse del Piano di Azione Coesione FVG (PAC)>>

Di seguito il testo dell'interrogazione che ho appena presentato.

Premesso che il Programma operativo regionale (POR FESR 2007 2013) per il Friuli Venezia Giulia è stato adottato dalla Commissione Europea il 20 novembre 2007 con una dotazione complessiva iniziale di 303 milioni di euro e rappresentava il documento di programmazione dei fondi FESR del settennio per lo sviluppo della competitività e dell’occupazione regionale;

ricordato che nel corso dell’anno 2011, visti i ritardi riscontrati nell’avanzamento finanziario della programmazione comunitaria, come risulta dal sito della Regione, è stata avviata dall’Autorità di Gestione del POR FESR, d‘intesa con la Commissione Europea, l’azione per accelerare l’attuazione dei programmi cofinanziati dai fondi strutturali 2007 – 2013, sulla base di quanto stabilito dal Comitato interministeriale per la programmazione economica (C.I.P.E.), con deliberazione n. 1 dell’11 gennaio 2011;

posto che nel 2013 al fine di evitare la restituzione dei fondi non utilizzati, la Regione ha negoziato con il Governo l'adesione al PAC (Piano di Azione Coesione) riprogrammando i fondi in parte su tematiche nuove, come ad esempio giovani, imprenditoria giovanile e agenda digitale, e consentendo di ultimare altre iniziative avviate sul POR FESR con tempi di chiusura non coerenti con le regole della programmazione comunitaria;

visto che il PAC Friuli Venezia Giulia è stato oggetto di approvazione, in parallelo alla modifica, in via preliminare del POR FESR, con DGR n. 1515 del 30.08.2013 s che con delibera n. 515 del 21.03.2014 la Giunta regionale ha approvato l’adesione rimodulata al Piano di Azione Coesione della Regione Friuli Venezia Giulia per un valore complessivo pari a € 67.556.807,00;

considerato che con generalità della Giunta Regionale n. 942 del 15 maggio 2015 è stato messo in evidenza che la Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia ha subito il disimpegno di ulteriori cospicue risorse che erano state assegnate a suo tempo sul POR FESR 2007 – 2013 e che non ha saputo in  questi anni utilizzare;
rilevato che la Presidente ha espresso con nota del 07.04.2015 la propria motivata opposizione chiedendo a livello nazionale all’Agenzia per la Coesione Territoriale un confronto finalizzato alla revisione della decisione di taglio dei fondi ritenuta lesiva per l’intero sistema economico e territoriale dalla Regione;

evidenziato che, come risulta dalla generalità GR n. 942/2015, le risorse assegnate con il Piano di Azione e Coesione che non sono state utilizzate entro i termini secondo i cronoprogrammi approvati, sono state letteralmente tagliate; 

interroga l’Assessore competente per sapere se

corrisponde a verità il disimpegno di decine di milioni di euro di risorse del Piano di Azione Coesione che la Regione ha subito per mancato impegno entro i termini;

a quanto ammonta ad oggi il taglio di risorse al Piano di Azione Coesione della Regione Friuli Venezia Giulia che originariamente aveva un valore complessivo pari a € 67.556.807,00

corrisponde a verità il rischio di ulteriori tagli;


a quanto è stato ridotta negli anni dal 2007 ad oggi, causa incapacità di utilizzo da parte della Regione, la dotazione finanziaria del Programma operativo regionale (POR FESR 2007 2013) che all’approvazione nel 2007 dalla Giunta Illy aveva una dotazione complessiva iniziale di 303 milioni di euro e rappresentava il documento di programmazione dei fondi FESR del settennio per lo sviluppo della competitività e dell’occupazione regionale.

giovedì 2 luglio 2015

Testamento biologico legge rivista e corretta per l’ok dal Governo

Di seguito il testo dell'articolo di Maura Delle Case pubblicato oggi sul Messaggero Veneto.
UDINE Pronta a difendere con i denti la legge sul biotestamento – o, tecnicamente, sulle Dichiarazioni anticipate di trattamento (Dat) – di fronte alla Consulta, la Regione si attrezza per rendere la legge ancor più solida. Meglio, costituzionalmente inattaccabile. Con un articolo unico votato ieri dal Consiglio regionale, la maggioranza ha provveduto a riscrivere alcuni passaggi della norma. L’obiettivo? Superare i rilievi mossi dal Governo che ha impugnato il provvedimento di fronte alla Corte costituzionale per presunta invasione di competenze esclusive dello Stato, in materia di ordinamento civile e tutela della salute. Gli interventi apportati ieri dall’Aula «ripuliscono la forma, lasciando inalterata la sostanza della norma», ha assicurato il primo firmatario della legge, Stefano Pustetto (Sel). La legge sul biotestamento, prima nel suo genere in Italia, è dunque intatta nonostante la riscrittura di diversi passi, realizzata grazie alla “consulenza” di costituzionalisti del rango di Vittorio Angiolini, già avvocato di Beppino Englaro e futuro difensore della Regione di fronte alla Consulta. «Sono modifiche tecniche», ha ribadito ieri Pustetto a margine del voto in aula, archiviato con 26 sì, 5 no e altrettante astensioni. «Modifiche – ha puntualizzato il vendoliano – che non intaccano il merito della legge». Un provvedimento sul quale la maggioranza di Debora Serracchiani non intende fare un solo passo indietro. Convinta «che sia compito della Regione – ha detto ancora l’esponente di Sel – dare forma organica ai vari registri, disciplinando attività esclusivamente amministrative». Tanto a dire che nessuna invasione di competenze vi è stata. Ne è convinto Pustetto, come pure l’assessore alla salute Maria Sandra Telesca, che in più occasioni ha ribadito l’intenzione della giunta di opporsi all’impugnazione del Consiglio dei ministri. Da qui le integrazioni e modifiche apportate ieri al dettato normativo, finalizzate a rafforzare la legge in vista dell’appuntamento con la Corte di stanza a piazza del Qurinale. Interventi di cesello che interessano vari articoli della norma. A partire dal primo. Riscritto in buona parte. «La Regione autonoma – si legge nell’attuale formulazione – riconosce e promuove la possibilità di rendere esplicite con certezza le proprie determinazioni in ordine ai trattamenti sanitari, nell’ambito del servizio sanitario regionale e in tutte le fasi della vita, ivi compresa quella terminale, e anche per l’ipotesi in cui la persona stessa non sia più in grado di intendere e di volere, fino alla morte accertata nei modi di legge». Si tratta per lo più di precisazioni, integrazioni volte ad agganciare ancor più saldamente la legge nel quadro della Costituzione nonché delle normative nazionali, europee e internazionali in materia. Cornice indispensabile a rafforzare la legge Fvg. Una norma “battistrada”. Prevede infatti l’istituzione di un registro regionale per le Dat (dichiarazioni anticipate di trattamento sanitario). Uno strumento che il Fvg adotta per primo in Italia e in base al quale il cittadino può dichiarare, in un atto datato e con firma autografa, la volontà di essere o meno sottoposto a trattamenti sanitari in caso di malattia o lesione cerebrale tali da causare perdita di coscienza e volontà, permanente e irreversibile secondo i protocolli scientifici riconosciuti a livello internazionale. Questione di libertà di scelta per Pustetto. E di tutela degli operatori del Sistema sanitario regionale. «Che dovrebbero essere messi in grado di poter conoscere, agilmente e con tempi congrui – ha concluso ieri Pustetto –, la volontà del paziente». ©RIPRODUZIONE RISERVATA

giovedì 25 giugno 2015

Relazione legge Sostegno al Reddito

Questa è la relazione che presenterò in Aula all'inizio della discussione sul Progetto di Legge "Misure di inclusione attiva e di sostegno al reddito".



Signor Presidente, signori Consiglieri
                                                       la Proposta di Legge che andiamo a discutere in quest’aula non è il frutto di un’ideologia, della  ricerca di consenso o di considerazioni “buoniste” ma è una presa d’atto, peraltro tardiva, delle mutate condizioni di vita e di lavoro della nostra società.
Il protrarsi di una crisi epocale che ha investito un po’ tutte le Nazioni ma l’Europa in particolare ha precipitato milioni di persone nella povertà, con il rischio concreto di esclusione sociale, senza differenze tra giovani NEET e lavoratori Senior (40-50enni e oltre).
Oltre alle masse di inoccupati, sottoccupati, disoccupati, espulsi dal mercato del lavoro in età matura sono precipitati in condizione da Working Poors i lavoratori indipendenti, gli autonomi e i freelance.

Nel giugno di ventitré anni fa (92/441/CEE) il Consiglio dell’Unione Europea raccomandava l'adozione di misure riguardanti il reddito minimo garantito che solo il nostro Paese, insieme con la Grecia, ha puntualmente e pervicacemente disatteso.
Anche in tempi recenti la Commissione Europea, dinanzi a questo vero e proprio default sociale, individuale e collettivo, in un documento dell'”EU Network of Independent Experts on Social Inclusion” sull'Agenda 2020, documento sorprendentemente sottaciuto in Italia, rimarcando come non siano rispettati i parametri di inclusione e garanzia sociale che i singoli Stati membri dovrebbero adottare con Agenda 2020, registrati  anche gli effetti negativi delle politiche di austerity, ricorda agli Stati membri che devono attivare “degli schemi di reddito minimo (minimum income)” che garantiscano la possibilità di vivere in condizioni dignitose.
Il fatto che il reddito minimo sia stato teorizzato per la prima volta dal liberale inglese lord William Beveridge nel lontanissimo 1942, realizzato poi nel 1948 dai Laburisti inglesi, testimonia come non stiamo parlando di una situazione nuova tanto è vero che le Nazioni più evolute hanno risposto a questi bisogni con politiche di sostegno al reddito già dalla seconda metà del Novecento.
Nel 2013 un altro rapporto su “occupazione e sviluppi sociali”, sempre dell’UE, ricorda che l'Italia, insieme a Grecia, Spagna, Malta e i paesi Baltici, fa parte del gruppo di paesi in cui è “drammaticamente aumentato il rischio di esclusione sociale di lungo periodo” ec'è un alto rischio di entrare nella povertà e basse possibilità di uscirne, con la creazione di una massiccia trappola della povertà”.

Considerato che in tempi recenti sentiamo parlare della nostra Carta Costituzionale come un vecchio arnese da aggiornare credo faccia bene a tutti ricordare quanto scritto all’articolo 38 secondo comma: “i lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria”.
Nel modello sociale europeo il sostegno al reddito non è percepito/etichettato come un provvedimento di sinistra o di destra: è l’abc della civiltà minima, quello che nessuno si sognerebbe di toccare.
Questa filosofia ha fatto sì che l’Irlanda in piena crisi economica, con un programma di austerità che noi definiremo “lacrime e sangue”, ha continuato a garantire al singolo disoccupato 800 euro al mese mentre una famiglia può arrivare a superare i 1800 euro, senza che si ci sia un limite di tempo nella garanzia del reddito.
La condizionalità e l’impegno attivo da parte del beneficiario fa sì che questa forma di welfare sia molto meno assistenzialistica di altre contribuendo alla maggiore occupazione e in definitiva alla creazione di maggior ricchezza. Un ruolo centrale è svolto dai centri per l’impiego, dove passa una parte importante delle offerte di lavoro. Non si tratta di un fatto marginale. Soprattutto in un contesto, come quello italiano, nel quale il lavoro diventa facilmente merce di scambio e dove esiste una forte incidenza del lavoro informale.

Affermare che “regalare i soldi conviene allo Stato” potrebbe apparire come una dichiarazione fatta sotto l’effetto di sostanze psicotrope e invece sono le conclusioni cui sono arrivati numerosi e qualificati ricercatori di varie Università dopo aver analizzato i risultati di questo tipo di politiche in 45 Nazioni nei diversi continenti.
A titolo esemplificativo, ma non certo esaustivo, citerò solo il lavoro di Evelin Forget, docente dell’università di Manitoba (Canada), che nel 2004 ha analizzato i dati di un esperimento fatto a Dauphin, cittadina di 13.000 abitanti situata a nord di Winnipeg.
L’esperimento, durato dal 1973 al 1974, ha coinvolto 1000 famiglie risultate sotto la soglia di povertà ed è costato 17 milioni di dollari.
Dalle 1800 scatole contenenti grafici, tabelle, relazioni ecc. sul lavoro svolto è emerso che l’età matrimoniale media era salita e il tasso di natalità era sceso. Il rendimento scolastico era migliorato, i capifamiglia avevano lavorato con gli stressi ritmi di prima, le donne avevano usato il reddito per un paio di mesi di maternità in più. I giovani di contro lo avevano destinato allo studio.
Forse il dato più sorprendente era la riduzione dell’8,5% delle visite ospedaliere con evidenti risparmi per la collettività. Dopo un paio di anni erano migliorate anche gli indicatori di violenza domestica e della salute mentale. Il reddito di cittadinanza aveva continuato ad influire positivamente anche sulle generazioni successive.
Insomma il saldo finale giustificava quello che all’inizio sembrava un ossimoro.

Politiche come queste andrebbero fatte a livello Statale perché è un problema che riguarda tutto il territorio nazionale ma è evidente che se il Primo Ministro ha la convinzione che provvedimenti come questo siano incostituzionali viene a mancare la volontà di trovare le soluzioni e le risorse per risolvere questo gravissimo problema.
L’esigenza che il FVG si doti di una legge come quella che andiamo a discutere nasce dai dati emersi dal Rapporto Sociale 2013 in cui si evidenzia come anche nella nostra Regione una fascia sempre crescente di cittadini stia scivolando verso una condizione di povertà, relativa od assoluta.
Il quadro che emerge è tale che anche le forze politiche storicamente contrarie a questo tipo interventi, se pur con un’ottica diversa dalla nostra, sembrano meno ostili all’avvio di questa misura sperimentale di welfare.
L’avvio di una politica del genere deve essere necessariamente legato ad una fase di sperimentazione dato che molte sono le variabili che entrano in gioco, ci sono molti tipi di povertà e, come sempre, non si può prescindere vincoli monetari.
L’ambizione è che questa misura sia il primo passo verso la concentrazione delle numerose e variegate politiche di welfare in un unico strumento (reddito di cittadinanza) il che, tra i vari vantaggi, permetterebbe non solo di snellire tutte le pratiche burocratiche ma anche un risparmio di personale, cosa non marginale per le casse della Regione.

Venendo all’articolato:
L’art 1 stabilisce i principi e le finalità del provvedimento; vengono richiamate la Costituzione e la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e le azioni che la Regione sostiene per contrastare l’esclusione sociale e favorire l’accesso al lavoro.
L’art 2 introduce la “Misura Attiva di sostegno al reddito”, specificando il suo carattere monetario e la modalità di erogazione per il tramite dei Servizi sociali dei Comuni in collaborazione con i Servizi pubblici regionali competenti in materia di lavoro. Viene inoltre definito il carattere sperimentale della misura (3 anni) ed i meccanismi di monitoraggio periodico.
L’art 3 definisce i beneficiari ed i requisiti e le condizioni d’accesso. Il beneficio è a favore dei nuclei familiari, anche monopersonali, che abbiano un ISEE inferiore a 6.000 euro, di cui almeno un componente sia residente in Regione da almeno 24 mesi. Costituisce condizione di accesso al beneficio la disponibilità dei componenti il nucleo familiare all’adesione a un percorso concordato di attivazione finalizzato a superare le condizioni di difficoltà del richiedente e del relativo nucleo familiare.
L’articolo 4 stabilisce che il beneficio non può comunque superare i 500 euro mensili e può essere erogato al massimo per 12 mesi, con possibile ripetizione solo dopo interruzione di 2 mesi.
L’art 5 specifica che la domanda va presentata dai richiedenti ai Comuni di residenza per il tramite dei servizi sociali.
L’articolo 6 definisce l’obbligo di un percorso di inclusione tramite la sottoscrizione di un accordo. Il patto può contenere sia obiettivi di inclusione sociale e di occupabilità, sia obiettivi di riduzione dei rischi di marginalità connessi all’intero nucleo familiare.
L’articolo 7 prevede che sia un regolamento, da approvare definitivamente entro 60 giorni dall’entrata in vigore della presente PDL, a stabilire caratteristiche specifiche della misura.

Confido in una rapida e quanto più condivisa approvazione.

                                                                   Stefano Pustetto