In questi giorni sulla stampa l’assessore alla sanità, Maria
Sandra Telesca, replicando alle critiche che dott. Zalukar ha rivolto
alla nascita del numero unico per le emergenze, ha affermato che bisogna avere
la capacità di confrontarsi con chi ha saputo innovare.
Prendendo lo spunto da queste affermazioni, che condivido
anche se credo che l’innovazione per essere tale debba essere migliorativa e
non peggiorativa dell’esistente, inizierò a raffrontare la nostra sanità con
quelle degli altri stati europei iniziando da quella della Gran Bretagna da cui
abbiamo copiato molto se non tutto.
Ovviamente, visto la complessità del tema e per non
annoiare, saranno delle considerazioni non toppo lunghe e a puntate.
*** 1^ puntata***
Da molti mesi i principali organi di informazioni
britannici, dando voce agli amministratori dei Trusts, le strutture deputate a
erogare le prestazioni sanitarie, stanno evidenziando come l’NHS (il servizio
sanitario inglese) sia vicino al punto di rottura a causa del cronico sotto
finanziamento e di alcune scelte di politica sanitaria.
Il Guardian evidenzia che senza correttivi sarà necessario
procedere a ulteriori tagli del personale, introdurre tariffe aggiuntive o
altre misure draconiane con riduzione degli standard assistenziali.
Vi è una carenza cronica di personale e un calo continuo
della spesa in rapporto al PIL che porterà – stando alle previsioni - il
rapporto dal 7,3% attuale al 6.6% nel 2021. L’invecchiamento della popolazione,
l’impiego delle nuove tecnologie incideranno sulla spesa, aumentandola. L’Economist
stima un passivo di 20 miliardi di sterline (23,5 miliardi di euro) entro il
2021.
Le soluzioni a cui ora si sta pensando sono: contributi per
il costo dei trattamenti da parte dei pazienti e la stipulazione di
assicurazioni sanitarie integrative, il che significa arrivare ad una sanità
pagata di tasca dal cittadino, come avviene in un qualsiasi sistema sanitario
privato.
Il riferimento al regno unito non è casuale perché molte
delle scelte fatte in Italia negli ultimi anni sono spiccatamente ispirate al
modello inglese, dalla riduzione dei posti letto negli ospedali,
all’accorpamento dei medici di medicina generale al ricorso alle convenzioni
con strutture private, il tutto con l’unico obbiettivo del mero risparmio
economico (risultato che però non sempre si ottiene con tagli non ponderati).
Il primo sistema sanitario nazionale ad essere istituito in
Europa è stato quello inglese nel 1948. A partire dagli anni ’90 l’NHS è stato
sottoposto ad una serie di riforme, iniziando con l’introduzione del criterio
della managerializzazione. Nel 1990, con il NHS and Community Care Act, il
governo Thatcher introdusse nella sanità inglese i principi dell’economia di
mercato, con lo scopo di stimolare la concorrenza e separare i soggetti
acquirenti dai produttori di servizi sanitari, mantenendo al contempo il
finanziamento pubblico della sanità.
I soggetti acquirenti, l’equivalente dei nostri Distretti,
sarebbero stati da quel momento in avanti provvisti di un budget per acquistare
le prestazioni necessarie in relazione alla popolazione di riferimento. Al
contempo gli ospedali venivano trasformati in enti autonomi, Trusts.
Il secondo pilastro della riforma fu l’introduzione del
fundholding nella medicina di base, ovverosia di un budget direttamente
assegnato a gruppi di medici associati tra loro, comprendente la somma
disponibile per l’acquisto di prestazioni sanitarie in favore dei pazienti
delle proprie liste. Nel 1998 tale sistema venne abolito dal governo Blair, e
reintrodotto con l’istituzione dei Primary Care Trusts.
Ad oggi esistono dunque i PCT, a cui viene assegnato l’80%
del budget del NHS, con l’impegno a stipulare accordi e convenzioni con medici
di famiglia, ospedali e fornitori indipendenti, per la popolazione di
riferimento.
A partire dal 2006 nel Regno Unito è stato avviato un
processo di trasformazione per avvicinare l’erogazione delle cure primarie a
quelle specialistiche, puntando alla territorializzazione ed alla
domiciliarizzazione delle cure: hospital-at-home, home-care e intermediate care
teams sono alcuni esempi.
Dal 2006 il Dipartimento della Salute britannico ha avviato
politiche per garantire l’erogazione delle cure seguendo il concetto di
prossimità al domicilio del paziente, deviando a tal fine parte dei fondi
precedentemente destinati agli ospedali al territorio. I primi progetti furono
avviati a cominciare dall’aprile 2009, con un programma di 16 progetti di
‘intermediate care’ finalizzati ad integrare i vari livelli di cure sanitarie
ed il sociale.
Questi progetti avevano come fulcro i medici di famiglia, ai
quali spettava la direzione di gruppi di medici specialistici per la presa in
carico di pazienti affetti da demenza e malattie croniche. Il sistema prevedeva
il coinvolgimento quindi di medici di medicina generale, medici specialisti
ospedalieri, personale infermieristico e i servizi sociali.
Che l’NHS così come lo conosciamo sia prossimo al fallimento
è testimoniato dal fatto che in questo momento in Inghilterra ci sono 58.000
persone con neoplasia che attendono, da due mesi, di essere operate e che
quella nazione abbia le peggiori performance di sopravvivenza per neoplasia di
tutta l’Europa.
Riassumendo in poche parole: anche per copiare ci vuole
intelligenza.