venerdì 28 aprile 2017

Anche per copiare ci vuole intelligenza



In questi giorni sulla stampa l’assessore alla sanità, Maria Sandra Telesca, replicando alle critiche che dott. Zalukar ha rivolto alla nascita del numero unico per le emergenze, ha affermato che bisogna avere la capacità di confrontarsi con chi ha saputo innovare.
Prendendo lo spunto da queste affermazioni, che condivido anche se credo che l’innovazione per essere tale debba essere migliorativa e non peggiorativa dell’esistente, inizierò a raffrontare la nostra sanità con quelle degli altri stati europei iniziando da quella della Gran Bretagna da cui abbiamo copiato molto se non tutto.
Ovviamente, visto la complessità del tema e per non annoiare, saranno delle considerazioni non toppo lunghe e a puntate. 

*** 1^ puntata***

Da molti mesi i principali organi di informazioni britannici, dando voce agli amministratori dei Trusts, le strutture deputate a erogare le prestazioni sanitarie, stanno evidenziando come l’NHS (il servizio sanitario inglese) sia vicino al punto di rottura a causa del cronico sotto finanziamento e di alcune scelte di politica sanitaria.
Il Guardian evidenzia che senza correttivi sarà necessario procedere a ulteriori tagli del personale, introdurre tariffe aggiuntive o altre misure draconiane con riduzione degli standard assistenziali.
Vi è una carenza cronica di personale e un calo continuo della spesa in rapporto al PIL che porterà – stando alle previsioni - il rapporto dal 7,3% attuale al 6.6% nel 2021. L’invecchiamento della popolazione, l’impiego delle nuove tecnologie incideranno sulla spesa, aumentandola. L’Economist stima un passivo di 20 miliardi di sterline (23,5 miliardi di euro) entro il 2021.
Le soluzioni a cui ora si sta pensando sono: contributi per il costo dei trattamenti da parte dei pazienti e la stipulazione di assicurazioni sanitarie integrative, il che significa arrivare ad una sanità pagata di tasca dal cittadino, come avviene in un qualsiasi sistema sanitario privato.
Il riferimento al regno unito non è casuale perché molte delle scelte fatte in Italia negli ultimi anni sono spiccatamente ispirate al modello inglese, dalla riduzione dei posti letto negli ospedali, all’accorpamento dei medici di medicina generale al ricorso alle convenzioni con strutture private, il tutto con l’unico obbiettivo del mero risparmio economico (risultato che però non sempre si ottiene con tagli non ponderati).
Il primo sistema sanitario nazionale ad essere istituito in Europa è stato quello inglese nel 1948. A partire dagli anni ’90 l’NHS è stato sottoposto ad una serie di riforme, iniziando con l’introduzione del criterio della managerializzazione. Nel 1990, con il NHS and Community Care Act, il governo Thatcher introdusse nella sanità inglese i principi dell’economia di mercato, con lo scopo di stimolare la concorrenza e separare i soggetti acquirenti dai produttori di servizi sanitari, mantenendo al contempo il finanziamento pubblico della sanità.
I soggetti acquirenti, l’equivalente dei nostri Distretti, sarebbero stati da quel momento in avanti provvisti di un budget per acquistare le prestazioni necessarie in relazione alla popolazione di riferimento. Al contempo gli ospedali venivano trasformati in enti autonomi, Trusts.
Il secondo pilastro della riforma fu l’introduzione del fundholding nella medicina di base, ovverosia di un budget direttamente assegnato a gruppi di medici associati tra loro, comprendente la somma disponibile per l’acquisto di prestazioni sanitarie in favore dei pazienti delle proprie liste. Nel 1998 tale sistema venne abolito dal governo Blair, e reintrodotto con l’istituzione dei Primary Care Trusts.
Ad oggi esistono dunque i PCT, a cui viene assegnato l’80% del budget del NHS, con l’impegno a stipulare accordi e convenzioni con medici di famiglia, ospedali e fornitori indipendenti, per la popolazione di riferimento.
A partire dal 2006 nel Regno Unito è stato avviato un processo di trasformazione per avvicinare l’erogazione delle cure primarie a quelle specialistiche, puntando alla territorializzazione ed alla domiciliarizzazione delle cure: hospital-at-home, home-care e intermediate care teams sono alcuni esempi.
Dal 2006 il Dipartimento della Salute britannico ha avviato politiche per garantire l’erogazione delle cure seguendo il concetto di prossimità al domicilio del paziente, deviando a tal fine parte dei fondi precedentemente destinati agli ospedali al territorio. I primi progetti furono avviati a cominciare dall’aprile 2009, con un programma di 16 progetti di ‘intermediate care’ finalizzati ad integrare i vari livelli di cure sanitarie ed il sociale.
Questi progetti avevano come fulcro i medici di famiglia, ai quali spettava la direzione di gruppi di medici specialistici per la presa in carico di pazienti affetti da demenza e malattie croniche. Il sistema prevedeva il coinvolgimento quindi di medici di medicina generale, medici specialisti ospedalieri, personale infermieristico e i servizi sociali.

Che l’NHS così come lo conosciamo sia prossimo al fallimento è testimoniato dal fatto che in questo momento in Inghilterra ci sono 58.000 persone con neoplasia che attendono, da due mesi, di essere operate e che quella nazione abbia le peggiori performance di sopravvivenza per neoplasia di tutta l’Europa.
Riassumendo in poche parole: anche per copiare ci vuole intelligenza. 

mercoledì 19 aprile 2017

Nessuno, tanto meno la Regione, può soprassedere all'applicazione della legge



Nella seduta di Consiglio regionale di data 5 aprile ho ricevuto, dall’Assessore Panontin, la risposta alla mia interrogazione a risposta immediata avente ad oggetto la richiesta di spiegazioni circa la mancata convocazione dei comizi elettorali per l’elezione del Comitato frazionale di Collina di Forni Avoltri.
In premessa dispiace constatare che la Presidente Serracchiani non si sia presentata per illustrare il suo pensiero sulla complessa tematica degli ‘usi civici’, oltre che a rendere conto dell’operato concernente una materia di diretta competenza della Presidenza della Regione.
Ricordo che le proprietà collettive e gli usi civici rientrano in una materia in cui la Regione ha potestà legislativa esclusiva. Ancora oggi, tuttavia, non pare sia stata raggiunta la volontà politica di approvare una norma organica di riordino o di definire una univoca linea di indirizzo politico. 
In un quadro regionale frastagliato e disomogeneo, eccezionalmente la situazione di Collina, frazione di Forni Avoltri, si caratterizza per una chiarezza che rende inaccettabili le parole lette in Aula dall’Assessore Panontin.
Il Bando commissariale del 1 marzo 1937, a firma dell’allora commissario agli usi civici, e il decreto del 31 dicembre del 1949, dimostrano ufficialmente l’esistenza, la consistenza e l’ubicazione dei Beni di uso civico delle Frazioni del Comune di Forni Avoltri. Sulla scorta di tale accertamento la Regione, in base alla legge 12/2009, aveva sostenuto economicamente la “Ricognizione delle aree gravate da usi civici” nel territorio di Forni Avoltri effettuata nel 2013 a cura dell’Associazione intercomunale “Alta Val Degano-Val Pesarina".
Il “Bando” commissariale del 1937 e la “Ricognizione” del 2013, come richiamati dal Direttore del Servizio Libro fondiario e Usi civici della Regione, Massimiliano Bonaccorsi (nel “Riscontro alla Presidente della Regione” del 17.11.2015), identificano distintamente «le aree intestate catastalmente alla Frazione Collina, con un’estensione di ha 601.37.10» e «quelle intestate catastalmente al Consorzio privato di Collina, con un’estensione di ha 450.92.00». E tali aree in alcun modo coincidono o si sovrappongono, senza alcuna «incertezza giuridica sulla titolarità e la gestione», come si deduce anche dalle indagini condotte dagli Uffici regionali che hanno consentito l’emanazione del D.P.Reg. n. 051/Pres. del 21.02.2002 che ha riconosciuto la personalità giuridica di diritto privato al Consorzio di Collina.
Ai sensi della legge statale n. 278/1957, l’Amministrazione separata non rappresenta una «forma alternativa di gestione dei beni di uso civico», ma la forma ordinaria di gestione di tali Beni, mentre la gestione esercitata dai Comuni rappresenta la forma residuale, come sostenuto dalla norma, dalla giurisprudenza e dalla dottrina, alla luce dei principi costituzionali di valorizzazione delle Formazioni sociali, di Partecipazione dei cittadini all’amministrazione e di Sussidiarietà orizzontale (artt. 2, 3 e 118 Cost.).
Ad oggi i Beni corrispondenti alle aree intestate catastalmente alla Frazione Collina sono gestiti dal Comune di Forni Avoltri, il quale continua a rivendicare tale gestione senza aver mai oltretutto provveduto a redigere un bilancio separato per i suddetti beni.
La richiesta dei Frazionisti di Collina di indire i comizi per l’elezione del Comitato per l’amministrazione separata è stata presentata 23 mesi or sono, e ad oggi mancano gli unici due pareri previsti, rispettivamente dalla legge statale 278/1957 e dal DPGR 29.03.2011, n. 068, del Commissario regionale per gli usi civici e della Giunta comunale.
Si ritiene ragionevolmente che l’intero procedimento amministrativo avrebbe dovuto concludersi, su impulso del Sindaco, competente dal 2011 alla indizione dei comizi elettorali per l’elezione dei Comitati frazionali, entro 30 giorni dalla presentazione della domanda.
La situazione di stasi che sussiste in merito al descritto procedimento amministrativo risulta essere, alla luce di queste premesse, del tutto illegittima.

mercoledì 5 aprile 2017

La risposta letta in Aula dall'Assessore Panontin in sostituzione della Presidente della Regione

Questa è stata la risposta letta in aula dall'Assessore Panontin.
Seguirà un mio commento al termine della seduta di Consiglio Regionale.



La Frazione di Collina potrà eleggere il proprio comitato per l'amministrazione separata dei beni civici frazionali?

Nel corso della seduta odierna del Consiglio Regionale è stata data risposta alla mia interrogazione a risposta immediata avente ad oggetto la mancata indizione, a due anni dalla regolare richiesta, dei comizi per l'elezione del Comitato per l'amministrazione separata dei beni civici frazionali di Collina.