Su "Il Piccolo" di martedì 21 aprile 2015 è comparsa una lettera di Paolo Pesce, presidente di Scienza & Vita di Trieste, che riapre il dibattito sulle DAT.
Questa è la mia lettera di risposta.
La legge regionale 4/2015 << Istituzione del registro
regionale per le libere dichiarazioni anticipate di trattamento sanitario (DAT)
e disposizioni per favorire la raccolta delle volontà di donazione degli organi
e dei tessuti >>, di cui sono il proponente, nasce con il dichiarato
intento di uniformare le modalità di raccolta delle DAT in ambito Regionale.
All’atto della stesura della legge ben 34 Comuni, tra cui tre
dei quattro capoluoghi di Provincia (Udine, Trieste e Pordenone) che da soli
raccolgono il 40% della popolazione, avevano istituito tale registro e questo
senza contare i numerosi cittadini che autonomamente avevano depositato le DAT
dal proprio notaio di fiducia.
Considerato che nella nostra Regione vi sono ben 216 comuni,
trovavo singolare che vi potessero essere altrettanti registri per le DAT
sparpagliati sul territorio e peraltro collocati in sedi accessibili solo in
orario di ufficio.
La paventata ipotesi che i nostri concittadini redigano un
atto di tale importanza in modo superficiale e senza essersi adeguatamente
confrontati con il proprio medico di fiducia, è pretestuosa così come a suo
tempo lo furono le affermazioni fatte da eminenti esponenti della DC e della
Chiesa per contrastare la legge sul divorzio e sull’aborto.
Con la legge sul divorzio le donne non sono diventate tutte
“donnacce”, i mariti non sono scappati con le ragazzine e le famiglie non si sono
sfasciate di più di quanto non avvenisse prima della legge.
Analogamente la legge 194 non solo ha impedito che tante
giovani donne si affidassero e morissero per mano delle mammane, ma ha anche
evitato i guadagni illeciti di tanti “cucchiai d’oro” e soprattutto ha
dimezzato il numero degli aborti.
Per un certo ceto politico e per i vertici religiosi il
popolo non è mai pronto e sicuramente non può e non deve decidere autonomamente
del proprio destino.
Considerato che il dott. Pesce è laureato in Medicina e
Chirurgia e quindi conosce in pieno il significato del termine “eutanasia”,
affermare che le DAT “sostengano il diritto alla scelta eutanasica” non può che
essere fatto in mala fede, stante che le DAT sono tutt’altra cosa.
Proprio per tutelare al meglio il volere del
cittadino/paziente nel momento in cui non potesse farlo autonomamente, è
previsto che, all’atto della consegna delle DAT, possa nominare un fiduciario o
meglio un amministratore di sostegno il cui compito, così come previsto
dall’articolo 408 del c.c., è quello di esprimere il consenso o il dissenso ai
trattamenti sanitari proposti tenendo conto dell’esclusivo interesse del tutelato.
E’ vero che in assenza di una specifica legge nazionale sul
fine vita i medici non sono vincolati da quanto scritto sulle DAT, ma è
altrettanto vero che l’amministratore di sostegno, proprio in virtù di quanto
scritto sulle Dichiarazioni Anticipate di Trattamento, può chiedere alla
magistratura il rispetto di quelle scelte così come avvenuto nel caso di Eluana
Englaro.
E’ del tutto evidente che considero questa una scelta
possibile, ma certamente non auspicabile. La strada maestra è che il Parlamento
emani una legge sul fine vita rispettosa di tutti i sentire e delle varie fedi
religiose così come fatto nella quasi totalità dei paesi Europei.
Se molte altre Regioni seguissero l’esempio del Friuli
Venezia Giulia si determinerebbe quella massa critica necessaria a superare i
tanti veti che stanno bloccando le numerose proposte di legge sul fine vita
ferme in Parlamento e questo favorirebbe la scelta, politica e non giudiziaria,
che auspico.
Cordiali saluti
Stefano Pustetto
Consigliere regionale
SEL
Trieste,
22/04/2015