lunedì 7 giugno 2010

Tondo/ Rosolen /Brandi.

Giovedì in Aula il Presidente della Regione ha fatto, come atto dovuto, le sue comunicazioni in merito alla modifica della composizione della Giunta regionale.
Tondo ha detto che, pur constatando il buon lavoro fatto dall’Assessore Rosolen, ha dovuto “mandarla a casa” in seguito ai fatti accaduti nelle scorse settimane, con un esplicito riferimento a quanto accaduto nel Comune di Trieste.

Sono, pertanto, delle beghe di una componente minoritaria del PdL: per un problema relativo alla singola realtà triestina, che per quanto importante, è una parte dell’intera regione, che un buon assessore deve, con rammarico dello stesso Presidente della Regione, essere dimissionata.

Tutti i consiglieri regionali intervenuti nel dibattito, sia di maggioranza che di opposizione, pur rimarcando le diverse posizioni politiche, hanno infatti espresso apprezzamento all’operato dell’assessore che quindi non è venuta meno ai compiti relativi al suo mandato.

A questo punto non resta che prendere atto che Tondo, per il quieto vivere e per restare in sella, si è dovuto piegare ai voleri di chi interpreta la politica come spartizione di potere e non come servizio alla comunità che un politico una volta eletto è chiamato a rappresentare.

Se l’operato politico della Rosolen era entrato in contrasto con il partito nel quale militava questo problema andava risolto dai probiviri e in ogni caso nell’ambito di quel partito.
Rimuovere un assessore che, pur designata da una parte politica, opera nell’interesse della totalità dei cittadini del Friuli Venezia Giulia è non solo un errore di questo esecutivo, ma esplicita anche la visione miope che questa maggioranza ha della politica.

Altro problema non marginale è che il nuovo assessore si aggiunge agli altri 6 assessori esterni già presenti in Giunta, che su si un totale di 10 non è poca cosa.
Una volta di più la politica che, complice la crisi economica, impone tanti sacrifici ai cittadini nel momento in cui potrebbe dimostrare di applicare a se stessa lo stesso rigore che richiede agli altri scantona e si dimostra “casta”.

Analogamente a quanto accaduto nel caso Englaro, quando Tondo condividendo la battaglia di civiltà di Beppino gli ha dato un concreto aiuto sottotraccia ma non ha avuto il coraggio, in modo esplicito, di mettersi di traverso alla sua maggioranza, anche in questo caso ha preferito difendere la sua poltrona piuttosto che un assessore che aveva ben operato.

Concludendo si può affermare che la libertà, politica ed istituzionale, che un presidente deve avere in quanto presidente di tutti e non solo del proprio partito è venuta meno: l’istituzione si è piegata al partito.

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