giovedì 15 dicembre 2016

La sentenza della Corte Costituzionale sulle DAT

La sentenza della Corte Costituzionale, che ha dichiarato l’incostituzionalità dell’intero impianto delle leggi 4 e 16 del 2015 (leggi sulle DAT), non ha fatto che ribadire la profonda spaccatura ideologica che attraversa la società italiana.
Da primo firmatario delle leggi in questione non condivido quanto stabilito dalla Suprema Corte ma le sentenze si rispettano anche quando non giungono alle conclusioni che vorremmo, pertanto da questa sentenza siamo obbligati a ripartire perché il tema resta lì come un macigno, irrisolto da troppo tempo.
A mio avviso, il nodo del problema non risiede nel riparto di competenza legislativa. La legge regionale – ricordo approvata con soli 3 voti contrari e 2 astenuti- nulla ha voluto disporre riguardo al valore legale da attribuirsi alle dichiarazioni anticipate di trattamento, con ciò riconoscendo implicitamente la titolarità della legge statale sul punto.
La nostra legge aveva l’ambizione di voler rispondere ad una richiesta dei cittadini che, allo stato attuale, se vogliono depositare la loro Dichiarazione Anticipate di Trattamento lo possono fare dal notaio di fiducia, in uno di quei 40 comuni che hanno istituito quel servizio ovvero lasciarle in custodia al proprio congiunto e/o fiduciario.
La scelta che i cittadini, in modo del tutto gratuito e volontario, potessero depositare le DAT presso la propria Azienda Sanitaria ovvero conservarla nella tessera sanitaria ci sembrava e ci sembra tuttora la cosa più logica e semplice.
In quella sede sono conservati, rispettando tutte le norme sulla a privacy, tutti i dati sensibili della persona e quanto scritto nelle DAT deve poter essere consultabile in ogni momento e facilmente dagli aventi diritto.
La sentenza della Consulta, oltre a non risolvere il cuore del problema e cioè tutelare la libertà di tutti quei cittadini che vogliono poter decidere a quali trattamenti sanitari essere sottoposti o rifiutare nel momento in cui non fossero più in grado di poterlo esprimere, di fatto ostacola anche il banale atto amministrativo di deposito, consultazione e conservazione dei dati.

Stante la decennale inerzia del Parlamento italiano è necessario trovare nuove soluzioni per dare una risposta ragionevole e di libera scelta ai nostri cittadini.

Si riporta il testo integrale della sentenza estratto dal sito ufficiale della Corte Costituzionale liberamente consultabile

SENTENZA N. 262
ANNO 2016

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Presidente: Paolo GROSSI; Giudici : Alessandro CRISCUOLO, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI,

ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale della legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia 13 marzo 2015, n. 4, recante «Istituzione del registro regionale per le libere dichiarazioni anticipate di trattamento sanitario (DAT) e disposizioni per favorire la raccolta delle volontà di donazione degli organi e dei tessuti», in particolare degli artt. 1, commi 3 e 5, 2, commi 3 e 4, 6, 7 e 9, e della legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia 10 luglio 2015, n. 16, recante «Integrazioni e modificazioni alla legge regionale 13 marzo 2015, n. 4 (Istituzione del registro regionale per le libere dichiarazioni anticipate di trattamento sanitario (DAT) e disposizioni per favorire la raccolta delle volontà di donazione degli organi e dei tessuti)», in particolare dell’art. 1, commi 1, lettere a), b), c) ed e), promossi dal Presidente del Consiglio dei ministri con due ricorsi, il primo spedito per la notifica il 18 maggio 2015 e l’altro notificato l’11-16 settembre 2015, depositati in cancelleria rispettivamente il 26 maggio 2015 ed il 21 settembre 2015 ed iscritti al n. 55 e al n. 87 del registro ricorsi 2015.
Visti gli atti di costituzione della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia;
udito nell’udienza pubblica del 18 ottobre 2016 il Giudice relatore Marta Cartabia;
uditi l’avvocato dello Stato Gabriella Palmieri per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Vittorio Angiolini per la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia.

Ritenuto in fatto
1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, con ricorso notificato alla resistente in data 18 maggio 2015, depositato nella cancelleria di questa Corte il successivo 26 maggio e iscritto al n. 55 del registro ricorsi 2015, ha promosso, ai sensi dell’art. 127 Cost., questioni di legittimità costituzionale sulla legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia 13 marzo 2015, n. 4, recante «Istituzione del registro regionale per le libere dichiarazioni anticipate di trattamento sanitario (DAT) e disposizioni per favorire la raccolta delle volontà di donazione degli organi e dei tessuti», per violazione degli artt. 3 e 117, comma secondo, lettera l), e comma terzo, della Costituzione.
L’impugnata legge regionale istituisce un registro regionale volto a raccogliere le dichiarazioni anticipate di trattamento sanitario, nonché eventualmente le disposizioni di volontà in merito alla donazione post mortem di organi e tessuti, per i cittadini residenti o che abbiano eletto domicilio nella Regione Friuli-Venezia Giulia. Tale legge regionale, «avente contenuto omogeneo e recante disposizioni strettamente connesse tra loro», secondo il ricorrente, esorbiterebbe dalle competenze legislative regionali costituzionalmente riconosciute, invadendo sfere di potestà legislativa statale, sia perché interverrebbe in materie riservate alla competenza esclusiva dello Stato – segnatamente, la materia dell’«ordinamento civile» e dell’«ordinamento penale» –, sia perché inciderebbe su principi fondamentali della materia «tutela della salute», comunque riservati alla legislazione statale in virtù della competenza concorrente sussistente in materia; inoltre, lederebbe il principio di eguaglianza introducendo una regolamentazione differenziata sul territorio nazionale in ordine ai diritti fondamentali della persona.
Dopo aver ricostruito in generale i contenuti della legge regionale, il ricorrente spiega le ragioni della illegittimità costituzionale di alcune disposizioni, evidenziando tre diversi profili.
1.1.– L’art. 1, comma 3, della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 4 del 2015 istituisce il suddetto registro e le disposizioni a esso collegate regolamentano la disciplina delle dichiarazioni anticipate di trattamento sanitario, delle loro modalità di espressione, dei loro limiti e della loro efficacia nei confronti dei terzi. Si tratta, secondo il ricorrente, di atti di manifestazione della volontà del singolo e della sua autonomia; di atti che, potendo «risolversi in un vero e proprio atto di disposizione del proprio corpo, fino a determinare la morte», coinvolgono profili concernenti i diritti cosiddetti “personalissimi”, rientranti nella materia dell’«ordinamento civile», riservata dall’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. alla potestà legislativa esclusiva dello Stato. L’inerenza a tale materia sarebbe avvalorata, secondo il ricorrente, dalla possibilità, contemplata dall’art. 3 della censurata legge regionale, di nominare uno o più fiduciari o un amministratore di sostegno, «istituti tipici dell’ordinamento civile»; mentre la previsione della designazione di tali soggetti in forme diverse da quelle di cui all’art. 408 del codice civile confermerebbe la censura del ricorrente in punto di violazione dell’«ordinamento civile».
Le norme regionali sulle dichiarazioni di volontà relative a futuri trattamenti sanitari inciderebbero, inoltre, secondo il ricorrente, sulla materia dell’«ordinamento penale», anch’essa di competenza esclusiva dello Stato, dal momento che la attuazione delle suddette dichiarazioni, potendo richiedere un «comportamento “attivo” da parte dei medici chiamati a rispettarle», necessiterebbe di «un coordinamento con le norme del codice penale che prevedono determinati reati» (omicidio, omicidio del consenziente, istigazione o aiuto al suicidio).
Tali previsioni violerebbero altresì l’art. 117, terzo comma, Cost., non potendosi contestare la loro inerenza alla materia «tutela della salute» e, particolarmente, ai suoi principi fondamentali, di competenza della legislazione statale. La violazione risulterebbe particolarmente evidente in riferimento al principio del consenso informato che – data la sua connotazione, come la stessa giurisprudenza costituzionale ha già affermato (sentenza n. 438 del 2008), di «sintesi di due diritti fondamentali: quello all’autodeterminazione e quello alla salute» – deve essere considerato «un principio fondamentale in materia di tutela della salute, la cui conformazione è rimessa alla legislazione statale». Infine, ad avviso del ricorrente, la natura di principi fondamentali della materia da riconoscersi ai contenuti della legge regionale censurata escluderebbe che possano essere ammesse regolamentazioni differenziate sul territorio nazionale: differenziazioni come quelle introdotte dalla censurata legge regionale «sarebbero certamente suscettibili di incidere sul principio di uguaglianza», in violazione dell’art. 3 Cost.
1.2.– Analoghi profili indurrebbero, secondo il ricorrente, a far ritenere costituzionalmente illegittimi gli artt. 1, comma 5, e 7 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 4 del 2015, nonché delle disposizioni a essi collegate (artt. 2, commi 5 e 6; 3 e 4, commi 1 e 2), in materia di registrazione della volontà in merito alla donazione post mortem di organi o tessuti, registrazione che, a norma della medesima legge regionale, può avvenire contestualmente a quella della dichiarazione anticipata sui trattamenti sanitari. La disciplina di tali atti, anch’essi configurabili come atti di disposizione del corpo, inerirebbe alla materia «ordinamento civile» riservata alla potestà legislativa esclusiva dello Stato e alla materia «tutela della salute», incidendo sui suoi principi fondamentali – tra cui il consenso informato – di competenza esclusiva dello Stato; inoltre, trattandosi di profili che attengono ai principi fondamentali, la loro disciplina esigerebbe un’uniformità di trattamento, con conseguente esclusione di ogni differenziazione nella regolamentazione.
1.3.– Il Presidente del Consiglio dei ministri rileva altresì la vacuità della argomentazione secondo la quale l’art. 117, terzo comma, Cost. non potrebbe dirsi violato in assenza di una normativa statale in materia di dichiarazioni anticipate di trattamento, non potendosi comunque reputare legittimo, a fronte di tale vuoto normativo, l’intervento legislativo regionale. Tale ricostruzione, infatti, secondo il ricorrente, vanificherebbe la stessa ratio della potestà legislativa concorrente, volta a garantire che, nelle materie ad essa sottoposte, la differenziazione delle normative regionali «non possa coinvolgere anche gli aspetti fondamentali delle materie medesime, in quanto questi ultimi devono essere regolamentati in maniera uniforme sull’intero territorio nazionale, appunto, mediante l’emanazione, da parte del legislatore statale, in via esclusiva, dei principi fondamentali». La mancata regolamentazione di una materia a livello statale, dunque, non giustifica automaticamente l’intervento legislativo regionale: del resto, afferma il ricorrente, «anche l’inerzia del legislatore statale in ordine a un determinato settore, può essere espressione di una precisa scelta, nel senso di non consentire determinati atti o rapporti». A ciò si aggiungono, secondo la difesa statale, le difficoltà attuative della legge regionale censurata, difficoltà relative alla reale possibilità che le dichiarazioni registrate siano concretamente conosciute e, dunque, idonee a esplicare i propri effetti al di fuori del territorio della Regione.
1.4.– Infine, l’art. 2, commi 3 e 4, e gli artt. 6 e 9 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 4 del 2015 violerebbero gli artt. 3, 117, secondo comma, lettera l), e terzo comma, Cost. Tali disposizioni, nel prevedere che l’azienda per l’assistenza sanitaria inserisce la dichiarazione anticipata di trattamento ricevuta dal cittadino nella banca dati e ne cura la tenuta, inciderebbero, secondo il ricorrente, sulla materia della protezione dei dati personali, materia che rientra in quella dell’«ordinamento civile» di competenza legislativa esclusiva dello Stato. Le dichiarazioni anticipate di trattamento, infatti, implicherebbero informazioni collegate sia a dati sanitari e alla salute, sia ad «aspetti della vita umana di carattere etico, religioso, filosofico e di altro genere» (art. 4, comma 1, lettera d, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, recante «Codice in materia di protezione dei dati personali»): dati personali, comuni e sensibili, il cui trattamento da parte di soggetti pubblici «è consentito soltanto per lo svolgimento delle funzioni istituzionali (art. 18, comma 2, del suddetto codice) e «solo se autorizzato da espressa disposizione di legge nella quale sono specificati i tipi di dati che possono essere trattati e di operazioni eseguibili e le finalità di rilevante interesse pubblico perseguite» (art. 20, comma 1, del medesimo codice). In assenza di una disciplina statale che includa tra i compiti istituzionali delle aziende sanitarie la specifica funzione di raccolta e tenuta delle dichiarazioni anticipate di trattamento e che affermi la rilevante finalità di interesse pubblico perseguita, tali aspetti non potrebbero, secondo il ricorrente, essere individuati con regolamento regionale, cui invece rinvia l’art. 9 della legge regionale censurata, spettando alla normativa regionale secondaria svolgere un ruolo di tipo esclusivamente integrativo.
2.– La Regione Friuli-Venezia Giulia, con atto di costituzione depositato in data 25 giugno 2015, chiede che le questioni di legittimità costituzionale siano dichiarate inammissibili per genericità e carenza di argomentazione delle censure e, comunque, infondate in quanto «del tutto autonom[e] e slegat[e] da regole e principi costituzionali».
2.1.– Dal punto di vista della legge regionale nel suo complesso, secondo la difesa della Regione, il ricorrente, pur lamentando che la legge regionale censurata impedirebbe l’applicazione uniforme del principio del consenso informato ai trattamenti sanitari sul territorio nazionale, avrebbe omesso di illustrare la eventuale violazione degli artt. 2, 13, 32 e 33, primo comma, Cost., dai quali tale principio, secondo la giurisprudenza costituzionale (sentenza n. 282 del 2002), deriva. Inoltre, la legge regionale Friuli-Venezia Giulia, a differenza delle leggi regionali già censurate dalla Corte costituzionale in ambiti analoghi (sentenze n. 253 del 2009, n. 438 del 2008 e n. 338 del 2003), non interviene nella disciplina del nucleo del principio del consenso informato ai trattamenti sanitari e quindi non ricade nelle violazioni indicate dalla Corte.
2.2.– Dal punto di vista delle censure avanzate nei confronti delle singole disposizioni, la Regione Friuli-Venezia Giulia afferma che la legge censurata, nell’istituire un registro regionale che raccolga le dichiarazioni anticipate di trattamento sanitario, mira (come lo stesso art. 1, comma 3, dispone) a «offrire un servizio a cui liberamente accedere», un servizio «meramente ancillare alle prestazioni ordinariamente erogate a carico del servizio sanitario regionale», utile per la cura e la gestione dei trattamenti più appropriati alla persona «indipendentemente da un qualunque vincolo o effetto giuridico, su cui il legislatore regionale nulla dispone». Il richiamo della legge regionale all’attuazione di disposizioni costituzionali e internazionali dimostrerebbe, secondo la resistente, l’intenzione di non «conformare, riconformare o integrare la disciplina del consenso informato quale risulta, per tutta l’Italia, dall’ordinamento vigente». Così andrebbero intese le disposizioni della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 4 del 2015 che tipizzano i contenuti e l’oggetto delle dichiarazioni anticipate (art. 2, comma 5) e che si occupano del nesso tra la presentazione della dichiarazione anticipata e il dovere di acquisire «una compiuta informazione» (art. 2, comma 3).
2.3.– Anche la censura nei confronti degli artt. 1, comma 5, e 7 della medesima legge regionale sarebbe infondata. Secondo la difesa regionale, tali disposizioni non disciplinerebbero, come invece afferma il ricorrente, le dichiarazioni di volontà in merito alla donazione post mortem di organi e tessuti, ma si limiterebbero a favorirne la manifestazione, come dimostrerebbe il richiamo alle disposizioni statali, anche quelle amministrative, inerenti alla dichiarazione di volontà per donazione post mortem cui le disposizioni regionali esplicitamente dichiarano di conformarsi. Priva di pregio sarebbe allora, secondo la Regione, l’obiezione per cui le disposizioni censurate non prevedrebbero l’invio di tali dichiarazioni al Sistema informativo trapianti: tale modalità sarebbe da intendersi come vincolante sulla base del richiamo a «termini, forme e modalità definite dalla legge 1 aprile 1999, n. 91», in materia di disciplina di prelievi e trapianti di organi e tessuti.
2.4.– Sarebbe altresì infondata la questione sollevata nei confronti degli artt. 2, commi 3 e 4, 6 e 9 della legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 4 del 2015 per la loro incidenza sulla materia della protezione dei dati personali e della tutela della riservatezza, materia che il Presidente del Consiglio dei ministri assume rientrare in quella dell’«ordinamento civile» di competenza legislativa esclusiva dello Stato. Oltre alla genericità della censura, la Regione afferma la natura strumentale delle dichiarazioni anticipate di trattamento e della relativa banca dati prevista dalla legge regionale rispetto all’esercizio della competenza legislativa regionale per l’amministrazione sanitaria e alla relativa organizzazione dei servizi pubblici; e ribadisce l’intenzione del legislatore regionale di conformarsi, attraverso uno scrupoloso richiamo, alle disposizioni statali in materia.
2.5.– La Regione resistente afferma inoltre l’infondatezza della questione sollevata nei confronti dell’art. 3 della legge regionale n. 4 del 2015, nella parte in cui prevede la possibilità che nella dichiarazione anticipata di trattamento il soggetto interessato nomini uno o più fiduciari o un amministratore di sostegno ai sensi dell’art. 408 cod. civ. Diversamente da quanto argomentato dal ricorrente, secondo la difesa regionale la disposizione censurata non intenderebbe introdurre nuove “forme di rappresentanza”, ma offrire «l’utilità, alle strutture ed agli operatori sanitari, di avere nel “fiduciario” o nei “fiduciari” interlocutori designati direttamente dall’autore delle “dichiarazioni anticipate” per poter meglio comprendere e valutare queste ultime anche in contraddittorio». Il riferimento all’art. 408 cod. civ. nel caso di designazione dell’amministrazione di sostegno, poi, denoterebbe la volontà della Regione che a tale istituto si ricorra nei modi e con la forma fissati dalla normativa civilistica.
2.6.– Infine, la difesa regionale, a chiusura delle argomentazioni sulla infondatezza delle questioni, afferma che le censure statali, sotto la parvenza della difesa della competenza esclusiva statale, difenderebbero invece «solo un vuoto di tutela», mancando ad oggi uno strumento amministrativo che dia concretezza al principio del consenso informato e voce «a chi versa, per lo stato di salute, nella situazione più disperata e rischia di essere lasciato inerme e muto nelle mani, amorevoli ed anche professionalmente capaci fin dove si vuole, di altre differenti persone». Osserva la difesa regionale che la legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 4 del 2015 non intenderebbe e, comunque, non potrebbe risolvere un siffatto problema; ma potrebbe contribuire «a non lasciare costrette nel silenzio le persone nel frangente della massima difficoltà per la propria salute», senza così né ostacolare né impedire più ampi e successivi interventi statali che assicurino l’uniformità della disciplina sul territorio nazionale, essendo quella regionale suscettibile di essere abrogata da parte di sopravvenienti principi della legislazione statale e prefigurando espressamente il proprio adeguamento alle future disposizioni previste dalla normativa statale.
3.– Con ricorso depositato in data 21 settembre 2015 e iscritto al n. 87 nel registro ricorsi del 2015, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale della legge reg. Friuli-Venezia Giulia 10 luglio 2015, n. 16, recante «Integrazioni e modificazioni alla legge regionale 13 marzo 2015, n. 4 (Istituzione del registro regionale per le libere dichiarazioni anticipate di trattamento sanitario (DAT) e disposizioni per favorire la raccolta delle volontà di donazione degli organi e dei tessuti)». La legge regionale, composta da un solo articolo e modificativa di alcune parti della precedente legge regionale n. 4 del 2015, con l’esplicito intento di sanare i rilievi di incostituzionalità sollevati dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso n. 55 del 2015, continuerebbe, secondo il ricorrente, a porsi in violazione degli artt. 3, 117, comma 2, lettera l), e comma 3, della Costituzione.
3.1.– Analogamente alla legge regionale n. 4 del 2015, la legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 16 del 2015 continua a prevedere (art. 1, comma 1, lettera a) l’istituzione di un registro regionale volto a raccogliere le dichiarazioni anticipate di trattamento sanitario e, contestualmente, le dichiarazioni di volontà in merito alla donazione di organi e tessuti post mortem. L’inerenza delle disposizioni regionali alla materia «ordinamento civile», attribuita alla competenza legislativa esclusiva dello Stato, rimane avvalorata, secondo il ricorrente, tra gli altri argomenti già espressi nel primo ricorso, dal tenore dell’art. 3, comma 1, della legge regionale n. 4 del 2015, come modificato dall’art. 1, comma 1, lettera c), della legge regionale n. 16 del 2015, il quale prevede che nella dichiarazione anticipata di trattamento il soggetto interessato può nominare uno o più soggetti fiduciari per l’interlocuzione e il contraddittorio con il Servizio sanitario regionale concernente la dichiarazione anticipata medesima. Inoltre, le modifiche apportate dalla legge regionale n. 16 del 2015 non farebbero altro, secondo il ricorrente, che parafrasare quanto già previsto nella versione originaria (art. 1, comma 1, lettera b, della legge n. 16 del 2015, modificativo dell’art. 2, comma 3 e 5, della legge n. 4 del 2015, che fa sostanzialmente confluire il contenuto dell’abrogato comma 5 nel novellato comma 3), ovvero sarebbero di tale modesta portata da risultare comunque inidonee a mutarne la sostanza (art. 1, comma 1, lettera c, della legge regionale n. 16 del 2015, modificativo dell’art. 3 della legge regionale n. 4 del 2015), ovvero non varrebbero a fugare i dubbi di un possibile contrasto con la disciplina statale (art. 1, comma 1, lettere b ed e, della legge regionale n. 16 del 2015 e, sostitutive rispettivamente dell’art. 2, comma 3, e dell’art. 6, comma 2, della legge regionale n. 4 del 2015, in materia di protezione dei dati).
4.– Con memoria depositata in data 15 ottobre 2015, la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia si è costituita in giudizio per chiedere, in prima istanza, che sia dichiarata la manifesta inammissibilità del ricorso n. 87 del 2015, per carenza di interesse a ricorrere, in quanto la Corte costituzionale, nel giudicare in riferimento al ricorso n. 55 del 2015, non potrà che considerare la legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 4 del 2015 nel testo risultante dalle modifiche apportate dalla legge regionale n. 16 del 2015, non avendo la prima avuto medio tempore applicazione.
4.1.– La Regione resistente chiede che sia in ogni caso dichiarata l’infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale, essendo tutte le modifiche apportate dirette a rendere esplicito l’intento meramente conoscitivo della legislazione regionale, come il riferimento nella nuova formulazione all’osservanza delle disposizioni costituzionali nonché al rispetto della normativa nazionale, europea e internazionale in materia testimonierebbe.
4.2.– La difesa regionale, inoltre, sottolinea che la materia delle dichiarazioni anticipate di trattamento e la sua disciplina non escludono di per sé un intervento legislativo delle Regioni, per una serie di motivi. In primo luogo, la disciplina del consenso informato non potrebbe dirsi sic et simpliciter rimessa agli svolgimenti politici e discrezionali della legislazione statale, esclusiva o anche di principio: essa, piuttosto, anche e soprattutto in conseguenza della giurisprudenza costituzionale (sentenza n. 438 del 2008), appartiene «al livello della normazione propriamente costituzionale, il quale sfugge alla stessa disponibilità del legislatore statale e richiede (anche) da questi stretta osservanza». In secondo luogo, la giurisprudenza costituzionale avrebbe riservato alla legislazione statale solo alcuni aspetti della disciplina del consenso informato (gli effetti giuridici della volontà del dichiarante; la misura del vincolo nei rapporti tra la persona stessa e il medico; gli effetti giuridici delle dichiarazioni nei casi di diminuita capacità di intendere e di volere e l’eventuale ingerenza, nei medesimi casi, di altri soggetti terzi, diversi dalla persona alla quale i trattamenti sanitari si riferiscono): tutti aspetti sui quali la legge regionale censurata non sarebbe intervenuta, essendosi limitata a preordinare specifici adempimenti procedimentali e strumenti amministrativi nell’ambito di quelli in cui si sostanzia la disciplina del servizio pubblico regionale. Infine, anche sulla legge regionale, seppur limitatamente agli aspetti di supporto amministrativo e di dettaglio, analogamente a quella statale, graverebbe l’onere di dare seguito a principi inerenti alla dignità della persona affermati non solo a livello costituzionale, ma anche a livello internazionale.
5.– Con successive memorie, depositate rispettivamente in data 27 settembre 2016 e 18 ottobre 2016, la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia e il Presidente del Consiglio dei ministri insistono perché siano accolte le argomentazioni già formulate nei precedenti atti.
5.1.– In particolare, la Regione resistente rileva, sul piano processuale, la «singolarità» dell’iniziativa del Governo, che, dopo un primo ricorso (n. 55 del 2015) e il successivo intervento legislativo regionale (legge n. 16 del 2015) volto a fugare ogni dubbio residuo sulla legittimità costituzionale della precedente legge regionale n. 4 del 2015 prima che potesse avere applicazione, ha promosso un secondo autonomo ricorso (n. 87 del 2015) sulla novella legislativa, senza nulla argomentare (come il principio di leale collaborazione suggerirebbe) sul mancato superamento delle censure di legittimità costituzionale già manifestati, frustrando così ogni sforzo collaborativo tentato dalla Regione. Sul piano sostanziale, ribadita la genericità delle censure avanzate dal Presidente del Consiglio dei ministri, sottolinea ancora una volta l’intenzione effettiva della legge regionale n. 4 del 2015, come modificata dalla successiva n. 16 del 2015, consistente nel riconoscimento e nella promozione, attraverso una procedura amministrativa, della conoscibilità, nell’ambito del Servizio sanitario regionale, delle dichiarazioni anticipate di volontà per il fine vita. Le disposizioni regionali non mirerebbero a contraddire le leggi dello Stato né a recare «anche un solo intralcio od un qualche inconveniente ad una qualche variante applicativa o attuativa di fonti statali, sia pur in chiave di minuto dettaglio», ma al contrario avviare «un’esperienza proficua» al fine di superare le esistenti divisioni di carattere etico, scientifico e politico e contribuire all’approvazione di una legislazione statale compiuta e organica. La mancata riproduzione o recezione da parte del legislatore regionale di alcuna disposizione statale, ma al contrario il costante rinvio alla sua attuazione e osservanza escluderebbe, inoltre, ad avviso della Regione, ogni contrasto con la giurisprudenza costituzionale che, anche e proprio nella materia di cui si dibatte (sentenza n. 195 del 2015), ha affermato che l’illegittimità costituzionale della novazione della fonte statale negli ambiti di competenza legislativa esclusiva deriva non dal modo in cui la legge regionale ha disciplinato, ma dal fatto stesso di aver disciplinato.
6.– Il Presidente del Consiglio dei ministri insiste nell’accoglimento di entrambi i ricorsi, richiamando le censure e le argomentazioni in essi sostenute. Con riferimento al ricorso n. 87 del 2015, il ricorrente ribadisce l’inidoneità delle modifiche apportate dalla legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 16 del 2015 a superare i vizi già dedotti nei confronti della precedente legge regionale n. 4 del 2015, sia perché marginali, sia perché le modifiche opererebbero una mera riformulazione non innovativa del testo precedente. Ritiene, inoltre, l’infondatezza della eccezione di manifesta inammissibilità del ricorso per carenza di interesse, in quanto la legge regionale n. 16 del 2015, dotata di autonoma valenza lesiva, necessiterebbe di autonoma impugnazione, non potendo il precedente ricorso «intendersi ex se diretto anche avverso la successiva legge regionale n. 16/15».

Considerato in diritto
1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, con due ricorsi (iscritti rispettivamente al n. 55 e al n. 87 del registro ricorsi del 2015), ha promosso, ai sensi dell’art. 127 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale della legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia 13 marzo 2015, n. 4, recante «Istituzione del registro regionale per le libere dichiarazioni anticipate di trattamento sanitario (DAT) e disposizioni per favorire la raccolta delle volontà di donazione degli organi e dei tessuti», e della legge della medesima Regione 10 luglio 2015, n. 16, recante «Integrazioni e modificazioni alla legge regionale 13 marzo 2015, n. 4 (Istituzione del registro regionale per le libere dichiarazioni anticipate di trattamento sanitario (DAT) e disposizioni per favorire la raccolta delle volontà di donazione degli organi e dei tessuti)», lamentando la violazione degli artt. 3 e 117, comma secondo, lettera l), e comma terzo, della Costituzione.
1.1.– Con la legge n. 4 del 2015, la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia ha istituito un registro regionale volto a raccogliere le dichiarazioni anticipate di trattamento sanitario, nonché contestualmente le eventuali disposizioni di volontà in merito alla donazione post mortem di organi e tessuti, dei cittadini residenti o che abbiano eletto domicilio nella Regione Friuli-Venezia Giulia, prevedendo altresì la forma che tali dichiarazioni devono assumere e le modalità per la loro raccolta e conservazione in apposite banche dati da istituirsi presso le aziende sanitarie locali. Secondo il ricorrente, la Regione sarebbe illegittimamente intervenuta sia in materie riservate alla competenza legislativa esclusiva dello Stato («ordinamento civile» e «ordinamento penale»), sia su principi fondamentali della materia «tutela della salute» (tra i quali, il principio del consenso informato), comunque riservati alla legislazione statale. Una disciplina legislativa regionale in tale ambito lederebbe altresì il principio di eguaglianza, poiché introdurrebbe una regolamentazione differenziata sul territorio nazionale in ordine all’esercizio di diritti fondamentali della persona.
Gli stessi vizi sarebbero riscontrabili in riferimento alla successiva legge regionale n. 16 del 2015, adottata con l’intento di sanare i rilievi di costituzionalità sollevati in ordine alla legge n. 4 del 2015, e tuttavia inidonea a superare i vizi dedotti.
2.– La Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, costituitasi in entrambi i giudizi, chiede che i ricorsi siano dichiarati inammissibili e comunque infondati.
3.– I ricorsi statali vertono su contenuti normativi parzialmente coincidenti, considerato che la legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 16 del 2015, impugnata con il secondo ricorso, contiene solo alcune modificazioni alla legge regionale n. 4 del 2015, impugnata con il primo, e avanzano censure omogenee. Ai fini di una decisione congiunta è perciò opportuna la riunione dei relativi giudizi (ex multis, sentenza n. 141 del 2016).
4.– Preliminarmente devono essere valutate le eccezioni di inammissibilità avanzate dalla Regione resistente, che risultano essere entrambe infondate.
4.1.– Secondo la difesa regionale, lo Stato ricorrente lamenta una difforme applicazione sul territorio nazionale dei principi fondamentali della materia «tutela della salute», tra i quali rientrerebbe il principio del consenso informato, omettendo, però, di illustrare le ragioni a sostegno della violazione degli artt. 2, 13, 32 e 33, comma 1, Cost., dai quali tale principio, secondo la giurisprudenza costituzionale (si richiama la sent. n. 282 del 2002), trae la sua natura di «principio di diretta derivazione dalla Costituzione».
L’eccezione deve essere rigettata.
I parametri invocati nel ricorso statale risultano, invero, coerenti con la natura della pretesa lesione e le censure sufficientemente argomentate: il ricorrente, infatti, lamenta una violazione del riparto di competenze, in riferimento, tra le altre, alla materia «tutela della salute», di competenza concorrente ai sensi dell’art. 117, terzo comma, Cost. e individua il principio fondamentale al quale la legislazione regionale deve attenersi, identificandolo nel consenso informato.
4.2.– Allo stesso modo deve essere rigettata l’eccezione di inammissibilità prospettata nei confronti del ricorso n. 87 del 2015 per carenza di interesse, basata sulla considerazione che la Corte costituzionale, nel giudicare in riferimento al ricorso n. 55 del 2015, dovrebbe comunque pronunciarsi sulla legge reg. Friuli-Venezia Giulia n. 4 del 2015 nel testo risultante dalle modifiche apportate dalla successiva legge regionale n. 16 del 2015, impugnata con il secondo ricorso, non avendo quella modificata avuto medio tempore applicazione.
Nel caso di specie, infatti, non rileva la giurisprudenza di questa Corte sul potere di trasferire o estendere il giudizio di legittimità a disposizioni modificative di quelle impugnate con ricorso promosso in via principale (da ultimo, sentenze n. 141, n. 40 e n. 39 del 2016; sentenze n. 155, n. 77 e n. 46 del 2015). Con il secondo ricorso il Presidente del Consiglio dei ministri ha ritenuto di promuovere un ulteriore giudizio, avendo ravvisato nella legge regionale n. 16 del 2015 autonome e reiterate violazioni delle proprie competenze, in materia di «ordinamento civile», «ordinamento penale», principi fondamentali della materia «tutela della salute», nonché del principio di eguaglianza. Tanto è sufficiente a ritenere sussistente l’interesse a ricorrere da parte del Presidente del Consiglio dei ministri, considerando che, per costante giurisprudenza di questa Corte, il giudizio promosso in via principale, successivo e astratto, è condizionato solo alla pubblicazione della legge che si presume illegittima. Sicché è la mera pubblicazione di una legge regionale potenzialmente lesiva della ripartizione di competenze che giustifica l’impugnativa della legge davanti a questa Corte, a prescindere dagli effetti che questa abbia o non abbia prodotto (ex multis, sentenza n. 118 del 2015).
5.– Nel merito, le questioni di legittimità costituzionale sollevate in riferimento all’art. 117, comma secondo, lettera l), Cost., sono fondate.
5.1.– Le censure hanno a oggetto anzitutto le due leggi regionali nella loro interezza e su queste occorre in primo luogo soffermarsi. I due atti legislativi dispongono l’istituzione di un registro regionale per la raccolta delle dichiarazioni di volontà anticipate di trattamento sanitario e per la donazione di organi e tessuti post mortem, e ne disciplinano una pluralità di aspetti. Trattandosi di leggi caratterizzate da disposizioni dal contenuto omogeneo, dipendenti l’una dall’altra e integralmente coinvolte dalle censure di legittimità costituzionale (ex multis, sentenze n. 195 e n. 81 del 2015), occorre procedere a una valutazione complessiva della disciplina, come risultante dai due testi.
5.2.– La legge regionale, nella sua formulazione originaria, affermava esplicitamente di intervenire «nelle more dell’approvazione di una normativa in materia a livello nazionale» e – al dichiarato scopo di «regolamentare in modo omogeneo su tutto il territorio regionale la raccolta delle dichiarazioni anticipate di trattamento sanitario» (art. 1, comma 4, legge reg. Friuli Venezia Giulia n. 4 del 2015) – istituiva un registro regionale delle suddette dichiarazioni «in attuazione di quanto previsto dagli articoli 2, 3, 13 e 32 della Costituzione, dall’articolo 9 della Convenzione di Oviedo del 4 aprile 1997, ratificata dalla legge 28 marzo 2001, n. 145 e dall’art. 3 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea» (art. 1, comma 3). Benché la clausola posta a chiusura di tale primo articolo prevedesse «un successivo adeguamento a seconda di quelle che saranno le disposizioni previste dalla normativa statale», l’obiettivo di colmare il vuoto legislativo, anticipando il legislatore nazionale con un proprio atto normativo in materia, era dunque inequivocabile.
Tale obiettivo non può ritenersi inciso – come, invece, la difesa regionale sostiene – dall’espunzione della esplicita dichiarazione di intenti disposta dalla successiva legge regionale n. 16 del 2016, che pure modifica il tenore testuale di alcune disposizioni della precedente legge regionale n. 4 del 2015.
La disciplina risultante dall’intervenuta legge modificativa prevede l’istituzione di «un registro regionale delle dichiarazioni anticipate di trattamento sanitario (DAT) con accesso ai dati tramite Carta regionale dei servizi» (art. 1, comma 2, nella formulazione risultante dalla legge regionale n. 16 del 2015); favorisce la possibilità di rendere esplicita, contestualmente alla registrazione della dichiarazione anticipata di trattamento sanitario, la volontà in merito alla donazione post mortem di organi e tessuti (art. 1, comma 3), allo scopo di promuovere la possibilità di effettuare tali dichiarazioni e favorirne la registrazione (come si legge nella rubrica dell’art. 7); definisce l’ambito di applicazione soggettivo, individuandolo nei cittadini residenti o che abbiano eletto domicilio nella Regione Friuli-Venezia Giulia (art. 2, comma 1) e specificando che il cambio di residenza, anche fuori Regione, «non comporta la cancellazione dalla banca dati contenente le dichiarazioni anticipate di trattamento sanitario» (art. 4, comma 3).
Essa inoltre stabilisce la forma, l’oggetto e i destinatari delle dichiarazioni anticipate di trattamento sanitario. Infatti, ai sensi dell’art. 2, le dichiarazioni anticipate di trattamento debbono assumere la forma di un atto scritto, avente data certa con firma autografa, e debbono essere presentate alla azienda per l’assistenza sanitaria competente per territorio (art. 2, comma 3); possono essere registrate sulla Carta regionale dei servizi e sulla tessera sanitaria personale (art. 2, comma 2); il loro contenuto deve specificare la volontà del singolo di essere o meno sottoposto a trattamenti sanitari in caso di malattia o lesione cerebrale che cagioni una perdita di coscienza e volontà «permanente e irreversibile» (art. 2, comma 3); possono anche contenere l’indicazione dei soggetti a cui le dichiarazioni possono essere comunicate (art. 2, comma 6), e può essere disposta la nomina di eventuali “fiduciari” abilitati a interloquire con il Servizio sanitario regionale in ordine alle dichiarazioni rese dall’interessato (art. 3, comma 1).
Il successivo art. 4 disciplina la validità nel tempo delle dichiarazioni anticipate di trattamento e le modalità per la loro modifica e revoca da parte del dichiarante; precisa che le suddette dichiarazioni non necessitano di alcuna conferma successiva al rilascio e che il cambio di residenza non comporta la loro cancellazione dalla banca dati.
Quanto agli aspetti organizzativi, la legge prevede che le aziende per l’assistenza sanitaria locale ne curano la raccolta e la conservazione in una apposita banca dati (art. 6), l’accesso alla quale è affidato al personale autorizzato delle aziende medesime.
5.3.– A fronte di una legislazione così configurata, non può essere condivisa l’interpretazione offerta dalla Regione resistente circa l’asserita inidoneità della disciplina regionale a innovare l’ordinamento giuridico, essendo volta solo a “promuovere” e “incentivare”, ovvero a “educare” i cittadini – come affermato dalla difesa regionale nel corso dell’udienza pubblica – alla pratica di dichiarare la propria volontà sui trattamenti sanitari e sulla donazione di organi, per l’evenienza che intervenga uno stato di incapacità decisionale del soggetto interessato.
Né può ritenersi, come la difesa regionale sostiene, che la legislazione regionale, volta a offrire un servizio «meramente ancillare alle prestazioni ordinariamente erogate a carico del servizio sanitario regionale», avrebbe carattere amministrativo e si manterrebbe, perciò, nell’ambito della competenza legislativa e amministrativa regionale per la tutela della salute e della relativa organizzazione dei servizi pubblici.
Invero, come emerge dalla disamina dei suoi contenuti, la legislazione regionale censurata appresta una disciplina organica e puntuale delle dichiarazioni anticipate di trattamento sanitario. La normativa regionale in esame, infatti, stabilisce la forma di espressione, nonché le modalità di annotazione e conservazione in un pubblico registro degli intendimenti di ciascun soggetto in ordine ai trattamenti sanitari, sottraendoli così alla sfera meramente privata. L’attribuzione di un rilievo pubblico a tali manifestazioni di volontà, espressive della libertà di cura (ex multis, sentenze n. 438 del 2008; n. 282 del 2002; n. 185 del 1998; n. 307 del 1990), implica la necessità di una articolata regolamentazione – come il complesso tessuto normativo delle due leggi impugnate testimonia – e interferisce nella materia dell’«ordinamento civile», attribuita in maniera esclusiva alla competenza legislativa dello Stato dall’art. 117, comma secondo, lettera l), Cost.
5.4.– D’altra parte, data la sua incidenza su aspetti essenziali della identità e della integrità della persona, una normativa in tema di disposizioni di volontà relative ai trattamenti sanitari nella fase terminale della vita – al pari di quella che regola la donazione di organi e tessuti – necessita di uniformità di trattamento sul territorio nazionale, per ragioni imperative di eguaglianza, ratio ultima della riserva allo Stato della competenza legislativa esclusiva in materia di «ordinamento civile», disposta dalla Costituzione. Il legislatore nazionale è, nei fatti, già intervenuto a disciplinare la donazione di tessuti e organi, con legge 1 aprile 1999, n. 91 (Disposizioni in materia di prelievi e di trapianti di organi e di tessuti), mentre, in relazione alle dichiarazioni anticipate di trattamento sanitario, i dibattiti parlamentari in corso non hanno ancora sortito esiti condivisi e non si sono tradotti in una specifica legislazione nazionale, la cui mancanza, però, non vale a giustificare in alcun modo l’interferenza della legislazione regionale in una materia affidata in via esclusiva alla competenza dello Stato.
6.– Per i motivi che precedono entrambe le leggi censurate devono essere pertanto dichiarate costituzionalmente illegittime per violazione degli artt. 3 e 117, comma secondo, lettera l), Cost., restando assorbiti gli ulteriori profili di illegittimità costituzionale sollevati.

Per Questi Motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara l’illegittimità costituzionale della legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia 13 marzo 2015, n. 4, recante «Istituzione del registro regionale per le libere dichiarazioni anticipate di trattamento sanitario (DAT) e disposizioni per favorire la raccolta delle volontà di donazione degli organi e dei tessuti», e della legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia 10 luglio 2015, n. 16, recante «Integrazioni e modificazioni alla legge regionale 13 marzo 2015, n. 4 (Istituzione del registro regionale per le libere dichiarazioni anticipate di trattamento sanitario (DAT) e disposizioni per favorire la raccolta delle volontà di donazione degli organi e dei tessuti)».
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 ottobre 2016.

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