giovedì 2 dicembre 2010

CIE: conferenza stampa con Giuliana Sgrena.

Questa mattina presso il Consiglio Regionale FVG ho organizzato una conferenza stampa concernente il CIE, Centro di Identificazione ed Espulsione di Gradisca, alla quale hanno partecipato Giuliana Sgrena (dirigente nazionale SEL) e un esponente del Comitato I Maggio.

L’attenzione è stata suscitata dalle notizie giornalistiche del 22-23 novembre scorso in cui si riportava di atti di autolesionismo perpetrati da alcuni internati che si sarebbero cuciti le labbra per denunciare la loro condizione e gli inaccettabili e ingiustificati tempi di detenzione peraltro ben maggiori rispetto a quelli previsti dalla legge Bossi – Fini.

In realtà, però, l’interesse non è di questi giorni, ma è nato dalle notizie di abusi, maltrattamenti e discrezionalità che riguardano non solo il CIE di Gradisca, ma un po’ tutti i CIE sparsi per l’Italia ove le rivolte sia individuali sia collettive sono decisamente aumentate da quando il periodo di detenzione è passata dagli iniziali 30 giorni ai gli attuali 6 mesi.

Alla notizia di pochi giorni fa è, comunque, seguita la mia richiesta formale alla Prefettura di Gorizia per poter accedere al CIE ed acclarare la veridicità delle notizie pubblicate sui quotidiani locali .

Dopo numerosi rimpalli e pur avendone la competenza, la Prefettura ha giustificato il ritardo all’autorizzazione di visita con la mancata risposta del Ministro dell’Interno cui aveva girato la richiesta.

Non si riesce a capire la motivazione per cui si deve chiede a Roma se un Consigliere regionale possa entrare al CIE, posto che esibendo semplicemente il tesserino può entrare in un carcere di massima sicurezza, come quello di Tolmezzo (a cui ho già fatto visita).

A questo punto tutti i sospetti sono legittimi e viene da pensare che questi ritardi non sono casuali e ma finalizzati a non far entrare un testimone scomodo che magari si mette a fare delle domande indiscrete.

Perché non c’è una regolamentazione per entrare al CIE, che, di fatto, è un carcere, anche se non ci sono le regole che invece valgono per quest’ultimo?
Perché per quelle strutture vige un’assoluta discrezionalità quasi godessero dello status di extraterritorialità?

Questo è un problema politico che uno Stato civile deve poter risolvere, si tratta di una scelta di civiltà. E questo perché si deve poter conoscere cosa succede all’interno di questa strutture e bisogna poterlo sapere in tempi utili, non a distanza di mesi.
Secondo me è dovere di un consigliere sapere e controllare che cosa succede fra quelle mura.
Giuliana Sgrena, concordando con quanto detto, ha sottolineato che il CIE rappresenta una forma di detenzione illegale e lo Stato, lasciandoli in funzione, si assume responsabilità ben precise, anche se per camuffarle dà in gestione ai privati queste strutture, scaricando le responsabilità a questi ultimi, responsabilità che però rimane in capo allo Stato. La giornalista ha sollevato, poi, un’altra questione a questa collegata: perché i giornalisti non possono entrare al CIE? Perché c’è paura che si sappia cosa succede all’interno? I giornalisti, secondo Sgrena, dovrebbero poter entrare perché devono poter verificare la notizia altrimenti si crea un’ambiguità pericolosa, non devono esistere luoghi che siano preclusi all’informazione .

Quella in cui ci troviamo è una situazione inquietante perché accettare questa discrezionalità vuol dire rendersi corresponsabili di quanto accade tra quelle mura sigillate.

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