Nella seduta consiliare di ieri si è discusso, per la quarta volta in quatto mesi, del Piano Regionale di Attività Estrattive (PRAE) e già al secondo articolo il centro destra si è squagliato, andando sotto di ben tre voti.
L’emendamento “fatale” (a firma Pustetto, Narduzzi, Brandolin, Moretton) ha ridato voce ai comuni, che erano stati completamente esclusi nella loro potestà decisionale. La legge, infatti, prevedeva che sarebbe stata di competenza della Regione decidere dove ove si potevano aprire delle cave e, qualora queste fossero in contrasto con gli strumenti urbanistici comunali, il Comune avrebbe dovuto modificare la propria pianificazione. Se quest’ultimo non avesse ottemperato a quanto richiesto, la Regione avrebbe nominato un commissario ad acta che avrebbe provveduto alla modifica dello strumento urbanistico. Per questo il Comune era tenuto a fornire il personale e pagare il commissario: come a dire il danno e le beffe.
L’emendamento incriminato non fa che ripristinare la norma della LR 35/86 in cui si dice che l’apertura, l’ampliamento e l’esercizio dell’attività di estrazione sono subordinati all’autorizzazione dell’assessore regionale competente previa attestazione comunale di conformità dell’intervento agli strumenti urbanistici vigenti, rilasciata dal Sindaco.
Dopo questo tsunami la maggioranza ha chiesto una sospensione della seduta per decidere del suo futuro (inteso come futuro della legge e della maggioranza stessa).
Vedremo gli sviluppi oggi stesso.
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