lunedì 5 marzo 2012

Sanità: commento alle affermazioni di Tondo.

All’inizio della legislatura, quale componente della Commissione deputata a verificare se le leggi approvate dal Consiglio regionale avevano raggiunto lo scopo che si prefiggevano, ho proposto una “missione valutativa” sugli effetti della legge regionale 13/95.

Consideravo fondamentale capire se la direzione a suo tempo intrapresa dal Centro Sinistra e dall’Assessore Fasola era quella giusta, stante che molti “boatos” preconizzavano una nuova riforma della sanità regionale questa volta targata Centro Destra.

Ricordo che le principali finalità di quella legge erano la riduzione dell’offerta ospedaliera e il miglioramento dell’efficienza complessiva nell’uso delle risorse ottenibile, con la riduzione della spesa ospedaliera a vantaggio di quella territoriale.

Motivazioni senza dubbio condivisibili, ma tutte da dimostrare.

Da quella ricerca, che non si è mai voluta discutere in Aula consigliare, sono emersi dati interessanti del tipo che spesso il piccolo ospedale funziona meglio del grande, che la riduzione dei posti letto nel pubblico (eccessiva) è stata compensata da un aumento nel privato, che la brevità di una degenza non è sinonimo automatico di buona pratica ecc. ecc.

Ho fatto questa breve premessa perché non c’è giorno in cui Tondo non ribadisca, praticamente con le stesse motivazioni usate allora, la volontà di ridurre ulteriormente il numero degli ospedali e degli eccessivi servizi sanitari dispersi sul territorio”.

Per fare questo urge un riassetto e una regia che uniformino e rendano coerente il sistema, parole non tante criptiche che io traduco in:

> “razionalizzare ” ovvero tagliare i servizi territoriali, serve l’azienda unica

> aver individuato gli ospedali Udine , Trieste ,Pordenone, quali punto di riferimento per le restanti strutture ospedaliere delle rispettive Province, serve uccidere per asfissia gli ospedali periferici .

Il modello è quello degli ospedali riuniti di Pordenone che vede il destino di S Vito al Tagliamento ormai segnato.

Venerdì scorso, nel convegno sulla sostenibilità del sistema sanitario pubblico, il Presidente ha completato il suo disegno affermando che se nel vicino Veneto vi sono delle eccellenze non ci si deve mettere in competizione con quelle, ma sviluppare le nostre e pensare piuttosto ad una collaborazione internazionale che può concretizzarsi nella prospettiva dell’Euroregione.

Senza dubbio l’assetto organizzativo/burocratico è importante, ma le recenti assemblee sindacali hanno evidenziato che i medici, gli infermieri e i pazienti ogni santo giorno devono affrontare ben altri problemi.

Una qualsiasi riforma della sanità è cosa complessa e anche quando fatta bene, ascoltando e coinvolgendo tutti i principali attori, può fallire per mille motivi.

Se poi si sceglie di by-passare a piè pari la commissione competente, che fino ad ora non ha ricevuto nessuna proposta di riforma formale/informale, e non si apre il dibattito con gli stakeholders il fallimento diventa certezza.

Spiace dover ricordare all’Assessore alla Sanità che i nostri errori incidono sempre sulla pelle dei pazienti e che in sanità l’obbiettivo economico deve essere commisurato alla qualità delle prestazioni, alla soddisfazione dei pazienti e non ultimo a quella degli operatori.

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